Milano, via Thaon di Revel 7 | lunedì 20 luglio 2015

Devo riconoscere allo staff di teatro7 | Lab un gran coraggio nell’avermi invitato in veste di fudbloggah a una delle loro lezioni di cucina. Un verginello come me in una delle scuole (ma scuola è riduttivo) di cucina più importanti di Milano ad assistere e poi raccontare cosa succede. Un arduo compito da food-reporter che, ve lo dico, mi sballa da morire. Da qualche parte dovrò pur cominciare, è giunta l’ora della deflorazione (da cibo-reporter, ovviamente).

Varco la soglia zuppo di sudore,  è impossibile arrestare la traspirazione, fuori l’aria sembra carta moschicida nebulizzata. Il refrigerio all’interno di teatro7 | Lab rilassa le mie sinapsi e Simone mi accoglie presentandomi immediatamente il protagonista della serata, il maestro Katsuya Tatsumoto. Inizio a fargli qualche domanda senza attaccargli troppo la pezza, anche perché sono in pieno furore da social e scatto foto anche sotto gli sgabelli. Il maestro viene da Kyoto e si è stabilito in Italia 25 anni fa con l’intento di approfondire la nostra cucina, ma ben presto ha abbandonato i propositi contaminando i piatti con la tradizione del suo paese, il Giappone.

Sta ultimando alcune preparazioni. Passa i noodles sotto l’acqua fredda e sottolineo che se un italiano facesse lo stesso con la pasta verrebbe impalato per eresia. Il maestro mi dice che i nigiri sono il sushi tradizionale per antonomasia e che da noi, nella versione occidentalizzata proposta dai ristoranti giappo-cinesi, ne sono arrivati una minima varietà: se ne annoverano circa 20-25 tipi diversi nel Sol Levante.

Iniziano ad arrivare gli iscritti alla lezione, alla fine siamo la metà dei prenotati. Va bene lo stesso, meno confusione e più cibo per tutti. Il lungo tavolo d’acciaio è già imbandito, indossiamo i grembiuli e ci accomodiamo per un doppio stuzzichino iniziale. Il primo è freddo: soba (ovvero noodles) freddi di grano saraceno con una julienne di alga accompagnati da una salsa (fredda) fatta con acqua minerale, pesce essiccato e salsa di soia,  tutto prontamente filtrato. Sapore molto leggero e sapido al punto giusto. Il secondo è caldo: yakisoba gialli saltati in padella con salsa di soia e conditi con scaglie di pesce essiccato, come fosse bottarga. Molto buoni, l’umami si spande in tutta la bocca, ma c’è un pizzicore piccante parecchio gradevole. Preferisco questi ai primi. I soba si tirano su con un sonoro risucchio altrimenti i giapponesi s’offendono, in Italia ti estromettono dalla vita sociale per i prossimi 33 anni se lo fai. Nel frattempo Simone mesce un bel prosecco di Valdobbiadene che ci sta una spada.

SIAMO QUI PER GIOCARE? NO! CHE LA LEZIONE ABBIA INIZIO: RISO

Qui non si cincischia, si fa, gioventù! E subito il maestro ci mostra come si prepara il riso per il sushi proiettando la procedura sullo schermo che da verso l’ingresso. É un estratto del suo DVD-tutorial: si sciacqua il riso fino a che l’acqua non è limpida, serve a eliminare l’amido; poi si cuoce in acqua bollente con una quantità pari a quella del riso, prima fiamma alta, poi a fiamma bassa e si condisce aggiungendo una miscela di zucchero, sale e aceto e c’è pure l’alga kombu (proporzioni per 1 kg di riso: 30 g di zucchero, 10 g di sale, 60 g di aceto). Quando l’acqua è assorbita del tutto, il riso si lascia riposare in un secchio di legno.

NIGIRI DI GAMBERI

Si inizia a fare sul serio. Ci sono dei gamberi decapitati infilzati ciascuno in uno spiedo: avendo una forma curva, il legno li tiene dritti durante la cottura, che dura 2 minuti. Il maestro ci mostra come fare ad aprirli a portafogli: si tolgono zampe e carapace e si lascia solo la coda; col coltello si incide seguendo la linea del ventre, si capovolgono sul dorso e, TAC, colpo secco e si aprono. Se c’è il budellino schifossetto scuro che è amaro e crea raccapriccio, si toglie.

IMPORTANTE: Come si fa un nigiri? La camurria è il riso. In primis si tiene sempre vicino una ciotola di acqua con aceto in cui inumidire le mani: l’acqua non fa attaccare il riso – i terroni che fanno gli arancini lo sanno bene – l’aceto svolge un’azione disinfettante. Facciamo ste palle! 20 g circa, della grandezza di una pallina da ping pong, si tiene il riso nell’incavo della mano destra e con l’indice si prende una perla di wasabi che si spalma sull’interno del gambero, tenuto per la coda con la mano sinistra. Si poggia il riso sul crostaceo facendo un po’ di pressione in modo che aderisca. I gamberi che sono stati asciugati, s’appiccicano poco al riso e mi generano una lieve sequela di imprecazioni a denti stretti. Comunque sia, col pollice della mano sinistra si schiaccia il riso e poi si chiude sempre la stessa mano a pugno per dare una forma oblunga al tutto. Io imparo la teoria in fretta ma faccio davvero schifo nella pratica, mi vengono fuori degli scarabocchietti tridimensionali da denuncia alla buon costume. Fatto sta che ognuno fa quelli che deve fare, spennellando spora un po’ di salsa teriyaki molto densa.

Sul vassoio, il sushi si dispone sempre per lo stesso verso, con inclinazione a 45 gradi con la “testa” a nord-ovest e la coda a sud-est. Sempre, altrimenti: taglio delle falangi.

NIGIRI DI BRANZINO, TONNO E SALMONE

Il maestro ci mostra la pulizia del branzino poggiandolo sul fianco destro. CHICCA: nei mercati giapponesi il pesce viene disposto sempre sul fianco destro con testa verso sinistra e coda verso destra. Stando poggiato per molto tempo sullo stesso lato, che quindi si schiaccia, il filetto sinistro costa sempre di più del destro. Fine della chicca.

Il maestro desquama il pesce, asporta la testa, sfila via i filetti con la lama che “sente” le lische e li mette uno sopra l’altro ricomponendo idealmente il pesce. Filetto destro sempre sotto. Tas-sa-ti-vo.

Per le fette, utili anche per il sashimi, si praticano dei tagli trasversali in senso inverso all’ordine delle venature della carne. Lo stesso discorso vale per tonno e salmone, che qui sono già in tranci. I partecipanti si industriano nel taglio, riesce a tutti molto bene. C’è anche una procedura da seguire nel taglio: il trancio va tenuto fermo con quattro dita della mano sinistra. Sono gesti rituali che a noi possono sembrare paranoie, eppure hanno un grande fascino. I nigiri si fanno tutti con lo stesso procedimento descritto sopra.

In tutto questo io continuo a fare foto e bullarmi sui social come un demente di 13 anni.

MAKI

Il maestro ci mostra come preparare dei maki con cetriolo salmone. Occhi e orecchie spalancati, telefonini puntati: sulla stuoina di bambù si poggia un foglio di alga nori dalla parte liscia, su quella ruvida si mette il riso disteso con le dita, si fa una linea centrale in cui si mette il wasabi e poi il cetriolo e/o salmone. E qui arriva la parte che ti fa sentire un ritardato: chiudere il maki, che sembra facilissimo ma all’atto pratico il cagatone è dietro l’angolo. Non sto qui a spiegarlo perché non l’ho capito, dico solo che i miei maki sono moderatamente deprimenti.

GUNKAN

Il nome dei gunkan sapete qual è? Ikuramaki. Ikura sta per “uova di salmone” e queste compaiono sotto un getto d’acqua tra le mani del maestro, che osserva come vadano consumate rapidamente una volta sciacquate perché viene tolto il sale di conservazione. Qui fa tutto un lavoretto con l’alga nori (il maestro): ricava tre striscioline spesse come lacci, poi taglia il foglio in tre parti uguali come fasce. Fa una pallina ovale di riso e la avvolge con una di queste fasce. Sopra c’è abbastanza spazio per un generoso cucchiaio di uova di salmone.

URAMAKI

Qui passiamo a un livello difficoltà-3-attento-che-se-sbagli-esplode-tutto. Il maestro parcheggia un foglio di pellicola da cucina sullo stuoino di bambù e quando capovolge l’alga con sopra il riso spalmato e i semi di sesamo ne intuisco l’utilità: serve a non far attaccare i chicchi. I miei neuroni applaudono per la sagace illuminazione. Sulla parte ignuda dell’alga il maestro adagia dell’insalata e dei tocchetti di salmone e chiude il tutto con lo stesso sistema dei maki. Riproduco la sequenza con risultati a metà strada tra l’avvilente e il potrei-riuscirci-se-solo-potessi-rifarlo-altre-19-volte.

Lezione sushi

SI MANGIA

Oh, il momento atteso da tutti è finalmente giunto. Non posso indossare la consueta bavetta perché l’ho dimenticata a casa, ci accomodiamo tutti e, accompagnati da una bottiglia di Berico bianco del 2014 e del sake, degustiamo ciò che abbiamo preparato con le nostre simpatiche manine paffute. Senza neanche dirlo, il vassoio del maestro è impeccabile, lo stesso non si può dire del mio, un incrocio tra un quadro cubista disegnato da un cieco e una puntata de La Fabbrica dei Mostri. Alla prova assaggio il mio setto nasale mi notifica che col wasabi ci ho dato dentro e sta per uscirmi del vapore verde dalle orecchie. A tavola si parla inevitabilmente del Giappone e dell’ineffabile bellezza della scrittura a ideogrammi. Uno dei partecipanti alla lezione è cinese e, tra le tangenze alfabetiche della Cina col Giappone e io che dopo 5 pezzi di sushi sono già satollo, ci rivela che la comunità cinese di Milano proviene quasi tutta da Wenzhou, fatto che ignoravo. Vedi quante cose si scoprono attorno a una tavola?

Stay tuna