Mah, non voglio fare il bastian contrario, francamente i criticoni per partito preso mi disturbano la digestione, ma mi sento in dovere di contraddire quell’entusiasta ritornello, molto in voga tra bloggerz e giornalisti-che-odiano-i-bloggerz che fa: “A Milano non s’è mai mangiato così bene”.

Per carità, a dispetto delle leggende metropolitane diffuse al di sotto del Po, secondo cui a Milano, oltre a un clima da schifo – “A Milano non s’è mai visto così tanto sole come negli ultimi anni”, vi direi – ci sia anche una ristorazione pessima, a Milano (ripetizione voluta) puoi mangiare bene. Molto bene. Ma non ovunque. E mai come in questo periodo di aperture a iosa (in media 3-4 a settimana ed è una stima per difetto) la qualità media, a mio modesto parere, si sta abbassando malamente.

Più giro e più assaggio in veste di oltranzista ispettore della mia personalissima Guida Minchiolìn, più mi rendo conto della dilagante fuffa basata solo su brand, storytelling, layout, la nostra filosofia, la nostra interpretazione di, il chilometro zero, l’ingrediente-che-il-cliente-fino-a-due-minuti-prima-non-sapeva-esistesse-ma-che-fa-schizzare-il-prezzo-alle-stelle (ma sono favorevole alla diffusione di prodotti di nicchia, sia chiaro). Poi devi fare i conti con ciò che hai nel piatto (oltre che con camerieri improvvisati che non conoscono il menu e formule confusionarie: ordinare in certi locali sta diventando troppo cervellotico): le consistenze, la sapidità, le cotture, gli abbinamenti. Perché no, le quantità. E poi fai i conti alla cassa. E spesso i conti non tornano.

Quindi, con buona pace dei sapienti e ben più illustri di me colleghi, mi permetto il lusso tonnato di rivisitare il ritornello: “A Milano non s’è mai mangiato così bene, purché si faccia un’attentissima selezione”. Ora mi suona meglio.

SOLITO DISCLAIMER

I prezzi indicati si riferiscono a ciò che ho pagato di tasca mia da normale cliente – insomma, senza mai presentarmi come fudbloggah o presunto tale – e come quota singola. Nei paragrafi non ho menzionato tutte le portate che ho mangiato, quindi le cifre che vedete possono comprendere anche altro. Ho sempre ordinato almeno 2 portate. C’è sempre del vino di mezzo, bottiglia o calice è specificato – per la boccia il prezzo pagato ne comprende una parte “alla romana” – perché chi non beve mentre mangia è un po’ tristomane (ma anche prima, anche dopo).  

Non è una classifica – non faccio classifiche – è un compendio in ordine Alla Cazzo.  Non ci sono sentenze, solo le mie personalissime opinioni. Se qualche ristoratore dovesse arrabbiarsi: Fatti Suoi.

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MICHETTA’S

via Ambrogio Campiglio 13, Milano – facebook.com/michettaspaninimilano

Il nome è tutto un programma, qui si mangia il tipico panino imbottito milanese – che sta ormai sparendo anche nei panifici – la michetta.

Pochi posti a sedere, saranno circa 15 tra tavoli e appoggio con sgabelli alla vetrata. Io mi parcheggio con vista sulla strada e do un’occhiata al menu. Prezzi abbordabili (siamo sui 6,50 € per le farce classiche), servizio rapidissimo, è l’ora della pausa pranzo.

Prendo un Toio (manzo affumicato, crema di rafano, taleggio, fontina, verdure grigliate, pomodoro, rucola), la carne è abbondante, il pane friabile e mantiene la struttura per tutto il supplizio, ovvero i miei voluttuosi morsi. Si sente poco il rafano, avrei gradito di più la sua presenza. Direi che va più che bene.

Con una Coca-Cola fanno 9 €.

MICHETTAS MILANO

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TOKYO GRILL

via Fiori Oscuri 3, Milano – rfstudio.it/

Sbandierato da molti come un must da provare, lo provo ma francamente non capisco l’entusiasmo. Qui il verbo è lo yakiniku, ovvero il barbecue giapponese.

Al centro di ogni tavolo c’è una griglia su cui adagiare i vari tagli di carne, pesce o vegetali crudi che si ordinano (tutto via iPad, pratica deumanizzante che prende sempre più piede).

Arrivano 3 capesante, una ciotola di karaage (questo molto buono), delle microscopiche fette del pregiatissimo manzo wagyu, di cui si può scegliere la marezzatura, se più o meno grassa (opto per il più).

Mah, per riuscire quanto meno a riempire mezzo stomaco ci vuole il triplo delle porzioni, la materia prima non è di sublime livello come ti aspetteresti a dispetto di una sala fin troppo curata.

I camerieri sono eccessivamente affettati nella loro gentilezza recitata, atteggiamento che non ho mai gradito. Insomma, troppo caro e niente di eccezionale.

Con calice di vino, 44,50 €.

TOKYO GRILL MILANO

TOKYO GRILL MILANO

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B RESTAURANT

Piazza Borromeo 5, Milano – facebook.com/brestaurantmilano/

Oh, qui dovrò soffermarmi un po’. Già la zona, nei pressi del Duomo, e una rapida lettura del menu (su tutti: cotoletta vestita di) mi fanno temere il peggio ma preferisco arrivare a fine pasto per esserne certo.

Prima di ordinare, il cameriere chiede se gradiamo una focaccina. Siamo in 5, diciamo sì. Arriva un dischetto d’una povertà companatica disarmante, saranno meno di 16 centimetri di diametro condita appena con due pomodorini e un cucchiaino di stracciatella a spicchio. Vabbè, è inclusa nel coperto, penso.

Arrivano le portate. Io ordino degli spaghettoni fatti in casa con pomodorino e stracciatella, mi auguro sia basico ma efficace. Augurio che naufraga già alla vista: la stracciatella è troppo compatta e somiglia molto a della comune mozzarella e poi quale chef si permetterebbe di caricare di peso un ingrediente che rilascia acqua immediatamente piazzandolo sotto la pasta? Quello di B Restaurant e a fine pasto ho il piatto allagato. Inoltre la salsa è piuttosto acida.

I miei amici mi concedono un assaggio della “cotoletta vestita” (di rucola, grana e aceto balsamico: che slancio creativo) che, udite udite, costa solo 25 euro neanche fosse manzo kobe. Totalmente insapore, lo giuro, e la panatura si stacca a ogni affondo. Le pizze margherita degli altri due amici sono anemiche, sembra che non avessero visto il calore del forno (8 € l’una). Il pane che ci viene portato al tavolo un po’ rappreso è anche salato.

Insomma, un disastro che si completa con il conto: la focaccina stava a 12 € senza essere indicata in menu e senza che il cameriere ne avesse specificato il costo, cosa che trovo scorretta. Coperto 3 € a persona, sul tavolo non ci stavano neanche le tovaglie, per dire.

Per un piatto di pasta, un calice di vino, una grappa, 30 €. Se fossi andati da solo e avessi aggiunto un’intera focaccina, sarebbero stati 42 €. Tutto eseguito male, tra l’altro. Mai più.

B RESTAURANT MILANO

B RESTAURANT MILANO

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LIEVITÁ

via Pasquale Sottocorno 17, Milano – www.pizzeria-lievita.com

Se in molti la ritengono una delle migliori pizze in città, un motivo c’è. La pasta è ben lievitata e la digerisco con una facilità imbarazzante. Ottimo il condimento con macco di fave, guanciale e pecorino, seducente e godurioso il giusto.

Il servizio è solerte e gentile, la cameriera, però, vuole spacciarmi i fritti d’antipasto per capolavori. Apprezzo lo slancio aziendalista, il fritto è complessivamente buono ma un tantino unto (e solo le crocchette di patate con provolone meriterebbero un secondo giro). Il dessert, che si chiama Guappetto, non mi dice proprio nulla.

Vale la pena andarci ma devo comunque sottolineare che chiedere 15 € per una pizza sta diventando una moda al limite dell’insopportabile.

Con birra in abbinamento, 29 €.

LIEVITÁ MILANO

LIEVITÁ MILANO

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MISCUSI

via Pompeo Litta 6, Milano – www.miscusi.com

Sul modello-Pescaria, anche MiScusi ha creato un hype gigantesco sui social prima di aprire. Siccome conosco l’iper-realtà che una buona campagna di marketing può generare con alte aspettative annesse, vado a constatare se il chiacchiericcio corrisponde a un capolavoro palatale, che è poi quello che realmente conta.

Il core business è pasta fresca come facevano mamme e nonne con ricette tradizionali. Non c’è un servizio al tavolo: arrivi, ti fermi alla cassa, stai impalato davanti al mega-menu che campeggia alle spalle della suddetta cassa per dover scegliere il formato di pasta – tutta realizzata in loco – e condimenti classici (carbonara, gricia, cacio e pepe, con bottarga, ragù bolognese) ma puoi anche creartelo (moda che spero finisca al più presto: non devo essere io cliente a scervellarmi ma il locale, grazie all’estro dello chef, a darmi delle proposte. Non ci si lamenti se poi clienti che non capiscono un H di abbinamenti vanno a zonzo sul web a smerdare i locali perché si sono forgiati da sé accozzaglie senza senso). Il vino è a calice e te lo devi versare tu nel bicchiere. I camerieri si limitano a portarti l’acqua al tavolo.

Quando la pasta è pronta, un aggeggino che viene consegnato al momento dell’ordinazione vibra e tu vai al pass a prenderti il piatto.

Quindi, sta pasta com’è? Scelgo la cacio e pepe, ricetta molto difficile: cottura ok ma sapidità alle stelle. Per la legge della compensazione, se hai un condimento salato – vedi Pecorino Romano – non mettere sale nell’acqua di cottura della pasta. Inoltre la crema non è per niente fluida ma tende a rapprendersi facilmente mancandogli la puntina d’acqua necessaria.

Nulla di memorabile e hype a mio avviso ingiustificato.

Di buono c’è però il prezzo, con 12 € pasta e vino a cena, che a Milano sono un lusso.

MISCUSI MILANO

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DELICATESSEN

viale Tunisia 14, Milano – www.ristorantedelicatessen.com

Sono anni che lo guardo con un misto di circospezione e curiosità. Una sera decido di sciogliere la prognosi.

Più che pettinato, ha l’aria del ristorante impettito. Sala che eccede in dettagli un po’ sfarzosi da wannabe-locale-di-lusso. Il servizio è un tantino approssimativo e distratto – devo ricordare due volte a due camerieri diversi che ho ordinato un calice di vino – sebbene non manchi mai la gentilezza.

Prendo dei tortelli al nero ripieni di trota salmonata e crema allo zafferano: la farcia è da dimenticare, slegata e quasi insapore, la pasta in più punti molle perché cotta troppo. Oltre all’elemento scenografico, il piatto non ha nulla che meriti un ricordo da serbare. Va meglio con il filetto di cervo, succulento per via della cottura al sangue e sapore selvaggio che mi aggrada.

Nulla però giustifica i 40 € del conto, qualitativamente parlando. Mi sono tolto ogni dubbio.

DELICATESSEN MILANO

DELICATESSEN MILANO

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PESCETTO

Via Volta 9, Milano – www.facebook.com/ilpescetto

Funziona come un self service. Si fa la fila fino per il bancone con vetrina in cui è esposto il pesce del giorno, roba freschissima. Cotture semplici: griglia, frittura o piatti freddi, compresi crudi. Prezzi all’etto contenutissimi: si va da 3.90 € (crostacei e calamari) a 6,90 € (tonno). Ordini, ti pesano il pesce, paghi e ti danno un numero. Ti accomodi al tavolo e attendi che ti chiamino dalla cucina per ritirare il piatto al pass.

Fritto misto di calamari e gamberi eccellente: asciutto, salato il giusto, dorato senza tendere al bruno, non mi appesantisce in fase digestiva. Attendo qualche minuto prima che il filetto di ricciola da 189 g sia pronto: stupendo nella sua semplicità, sodo ma cotto a puntino, solo piastrato con un filo d’olio d’accompagnamento. La materia prima magistrale non ha bisogno di menate da fighetti.

Consigliatissimo se si vuol mangiare ottimo pesce spendendo poco e senza avere chissà quali pretese nelle ricette.

Con acqua, 16 €.

PESCETTO MILANO

PESCETTO MILANO

Stay tuna