Riesco ancora a vedermi la punta dei piedi e Tutto Il Resto, quindi posso affermare d’essere sopravvissuto con stile al delirante rito ittico-carnivoro delle feste che si protrae per giorni come il più carnascialesco dei matrimoni tradizionali orientali. E anche il leggero sfogo d’acne causato dagli oli e i burri e gli zuccheri è stato occultato miracolosamente dalla forestuzza pilifera che ricopre il mio volto da più di 12 anni a questa parte. E ho fatto pure una marea di super-rutti liberatori.

Ho chiuso il 2013 con una sfilza di libri incompleti, ma a dicembre sono stato capomastro e ne ho finiti 3. É record.

Ho chiuso il 2013 con un disco ormai in rampa di lancio. In primavera lo caccio fuori. Il disco.

Ma alla fine, del mio 2013 a chi cazzo gliene frega? Annessuno.

Parlo quindi del 2014, o meglio, parlo NEL 2014, che ho deciso di inaugurare nel segno del Porco con questa ricetta di mia personalissima invenzione, anche se devo un dettaglio a una cara amica che mi segue da casa. Vorrei salutare Carlotta, se mi è concesso. Primo piano, restringimento di campo, sorriso a prova di sbiancamento con lampada Led. Ciao con la manina. Grazie, può accomodarsi.

Si accomodi anche il porchissimo che devo squartare e tramutare in un sontuoso ed elegante nonché succulento

filetto di maiale

con puré

di funghi

mantecato

al Bra

Filetto di maiale marinato con purè funghi al bra

Per stimolare l’aerofagia di ben 2 persone, ci vogliono

– 2 filetti di porco, meglio la lonza. Non Questa Lonza
– 300 g di funghi prataioli crema (si chiamano così)
– 150 g di Bra D.O.P.
– rosmarino
– sale
– pepe nero
– olio extra-vergine di oliva

Dato che c’è da fare una marinata, urgono anche

– un pompelmo rosa
– 400 g di yogurt bianco o greco o come minchia ti pare
– foglie di menta

Parto e partorisco. Agguanto il porco e ne ricavo un bel pezzo di lonza che libero dalle parti grasse. A sua volta, dalla lonza pulita, ricavo due-tre-quattro, dipende da quante bocche ci sono da sfamare. Oh, due-tre-quattro cosa? Già, il complemento oggetto: filetti. Ma secondo te, che cazzo ci dovrei ricavare se la ricetta ha già in dote il prelibato nome?

Sto filetto lo sottopongo a ben tre cotture:

1) marinatura: com’è noto ai più letterati gourmant e alle massaie che hanno sfogliato la Garzantina sulla Cucina, quando un cibo è immerso in un ambiente acido a marinare, quest’operazione è già di per sé una cottura. Di norma, la marinatura serve a “preparare per” la cottura. Qui la base acida è costituita da yogurt e pompelmo che, durante il soggiorno in frigo del Grandissimo Porco, lo cuoceranno. Il Supremo Suino

2) scottatura in padella: questa è pura conduzione, semplice e basilare. Fiamma alta, padella rovente senza alcuna unzione. L’alta temperatura permette alla reazione di Maillard di verificarsi rapidamente sigillando le parti esterne della carne affinché questa non perda i succhi interni

3) rifinitura in forno: come la marinatura, è una cottura per convezione, mi sarà utile per completare la cottura esterna del filetto mantenendo l’interno al sangue

Dopo aver anticipato tutte le menate che mi toccherà affrontare per sto minchia di filetto, procedo con la marinata. In una ciotola verso il succo e la polpa di un pompelmo rosa (se hai a portata di mano un pompelmo giallo, ben più aspro, è anche meglio), 3 vasetti di yogurt bianco fermentato al cucchiaio (è un probiotico, va bene anche il normalissimo magro oppure il greco, che rimane il mio prediletto); foglie di menta. Qui non ne ho, ma anche del pepe rosa non guasta per dare una tinta più speziata all’intera vicenda.

Unisco gli ingredienti e “arrimino”, ovvero mescolo con una frusta finché il composto non è ben legato.Depongo come degli illustri faraoni i filetti in ciotole di terracotta – mi raccomando, quando si marina con roba acida, evitare se si può plastica e acciaio, grazie – li annego letteralmente nella marinata.

Copro con uno strappo di pellicola e metto in frigo per la bellezza di 6 ore.

Un’ora.

Due ore.

Tre ore.

Quattro ore.

Cinque ore.

Cinque ore e mezza.

Sei ore.

Tiro fuori dal frigo. E faccio altro. Tipo scaccolarmi. Ma anche fare il puré di funghi.

Funghi prataioli crema, un incrocio tra champignon e porcini, sapore e-c-c-e-l-l-e-n-t-e. Tolgo il terriccio dalla terminazione del fusto, passo sotto l’acqua le cappelle, affetto e faccio rosolare in padella con olio extra-sbudellato d’oliva e uno spicchio d’aglio vestito.

Aggiungo due mestoli d’acqua bollente, poca eh, che altrimenti il funghetto s’annacqua e perde il sapore – è pur sempre un cosino che nasce dall’umidità – e aggiungo un rametto di rosmarino. Attendo che l’acqua si restringa del tutto e: FRULLO.

Ottengo così una purea omogenea, il fungo lega da solo. Non uso alcun brodo vegetale, né burro o altro che per non modificare il sapore dei funghi.

Tanto adesso devo mantecare. Col bra: formaggio piemontese d’origine protetta a pasta semidura il cui sapore è un gradevole incrocio tra l’asiago e la fontina. Gradevole è anche una parola poco mascolina, me ne rendo conto.

Col puré ancora caldo, unisco il formaggio e lo incorporo, magari riaccendendo la fiamma per consentirne lo scioglimento. Deve venirne fuori una crema. Aggiusto di sale, una macinata di pepe nero e metto da parte col coperchio in funzione.

Cuociamo sta carne, va. La carne si tira fuori dal frigo minimo mezz’ora prima della cottura, ovviamente tutto commisurato alla temperatura della tua fottuta casa. Qui sembra l’equatore.

Pulisco per bene i filetti dalla marinata. É un’operazione importantissima questa: se rimane della marinata sulla superficie della carne, questa – cioè la marinata – a contatto con la padella rovente, si carbonizza seduta stante e diventa: a) amara; b) orrenda alla vista; c) se hai a cena una figa e le presenti un filetto bruciacchiato, quella ti sputa sul piatto, ti caga in soggiorno e se ne va. Minimo.

Padella rovente come il volante di plastica di una Fiat Ritmo dell’86 sotto il sole post-prandiale di ferragosto. Schiaffo i filetti che cuocio un minuto per lato.

Il forno è già caldo: 15 minuti a 190°, andate filetti di porco a farvi una lampada trifacciale.

Quand’è tutto finito è il momento di impiattare. Puré da una parte, filetto con qualche grano di sale grosso sopra dall’altra e via con la porcellanza.

Il Disconsiglio: nonostante sia un inno alla suinanza, io ci sento delle note jazz al di sotto. Ma qualcosa che non sia troppo serioso e non puzzi di sfiga. Ci vuole un Mingus, di quelli belli: Charles Mingus, Ah Um, annata 1959