L’ho divorato qualche mese fa e lo sfoglio puntualmente. Sarà per le foto stupende di Bob Noto o perché con certi libri instauro un legame affettivo che mi porta a tornare tra le righe, approfondire passaggi per fissarli bene in testa (sono un inveterato sottolineatore) o per trarre semplicemente ispirazione per qualcosa. Una ricetta, uno scritto, una canzone.
Bene, Il Cuoco Universale di Andrea Grignaffini, consulente della scuola di cucina ALMA e apprezzato critico gastronomico, lo tiro via spesso dalla mensola della libreria.
Tra le pagine si respira la grazia del saggio d’arte perché la materia è affrontata con uno stile elegante ma mai soffocante o ampolloso. La cucina assume tinte che vanno al di là della mera soddisfazione di un bisogno primario, regolata com’è da una sintassi complessa, a tratti ineffabile.
Si parla poco di piatti, non ci sono ricette, solo qualche cenno a particolari tecniche di cottura ma solo se necessarie a rendere più chiara la filosofia di un determinato “movimento” o chef.
Un viaggio tra le avanguardie della nuova Alta Cucina, dal ritorno alle origini che guarda al futuro di Alex Atala al primitivismo cerebrale di Ben Shewry, passando per le giocosità colte di Alajmo e Denis Martin, le derive dell’eco-cucina e le fusioni con la tecnologia fino a lambire gli amplessi tra diverse culture culinarie, sempre con l’ingombrante ombra di Ferran Adrià sullo sfondo, dimostrando che i limiti dell’alta gastronomia sono pressoché inesistenti.
Il libro è diviso in capitoli brevi e scorrevoli, non ha pretese esaustive, non è un elenco di chef-che-fanno-cose-fighette, bensì un flusso stimolante che offre spunti di riflessione su cosa sia la cucina, come possa cambiare pelle semplificandosi o complicandosi senza perdere un briciolo di raffinatezza.
Chiunque intenda il cibo con un’accezione artistica, se non umanistica in senso assoluto, dovrebbe leggerlo. L’ho detto.
Chiudo a chiave nelle segrete del mio castello mentale il Momento-Serietà e sgancio la ricetta di oggi. Che, se non ve lo dicessi esplicitamente, non pensereste che è Vegana.
Apriti cellophane!
Be’, nonostante continui a mangiare animali e derivati, il “veg” mi piace in ogni sua declinazione, meglio se fritto e ben unto. Tipo, ‘na parmigiana di melanzane che gronda grassi saturi.
Quindi, dato che spignatto spesso cibaglia senza carne e pesce, oggi faccio quello che ammicca all’audience cruelty-free senza rinunciare al Fritto, perché ci tengo a consegnarmi al creatore coi valori delle analisi del sangue sballati.
Diamoci dentro, oggi: polpette di lenticchie (fritte) alla curcuma, crema di spinaci e anacardi.
Volete entrare nel ristretto nugolo di sapienti che conoscono la lista degli ingredienti necessari per prepararne un piatto per una persona (e le dosi le potete moltiplicare per quanti umani-e-animali vi pare)? Prendete penna e calamaio:
Per le polpette
– 120 g di lenticchie (ho usato quelle in lattina precotte che quelle secche dovevano stare in ammollo, poi dovevo sbollentarle: non avevo voglia)
– mezzo cucchiaino di curcuma in polvere
– un quarto di cipolla rossa tritata
– farina 00
– olio d’arachidi
Per la crema
– un litro di brodo vegetale (se vuoi farlo ex novo: 2 carote, una cipolla, 2 gambi di sedano)
– 150 g di spinaci freschi
– 20 g di anacardi
Per entrambi
– olio extravergine d’oliva
– sale
– pepe
Let’s get this party started!
Preparo la brodaglia con carota, sedano e cipolla, mezz’oretta a fiamma vivace, aggiusto di sale ed è tutto ok.
In the meantime, tosto gli anacardi in una padella talmente calda che dovrei dire supercalda.
Lavo e taglio grossolanamente gli spinaci e li scotto in padella con un filo d’olio extravergine d’oliva, spargo una presa di sale per favorirne la disidratazione e quando l’acqua s’asciuga, inizio a mestolare il brodo a iosa, così: glu, glu glu e splash e sguish. In 8 minuti gli spinaci sono abbastanza morbidi da poter essere frullati col mio sontuoso mini pimer a fiamma spenta. E allora frullo: frlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrl. Aggiusto di sale, aggiungo gli anacardi che ho appena sbriciolato e metto da parte.
Con la sola forza del polpastrello dell’indice della mano destra, apro la latta di lenticchie e le sciacquo per bene in uno scolapasta. Devo sottolineare il fatto che le lenticchie le ho versate nel suddetto scolapasta? Naaaaa.
In un padellino piccino-picciò tosto a secco mezzo cucchiaino di curcuma e la metto da parte.
In una padella truccata con un filo d’olio extravergine d’oliva rosolo un quarto di cipolla tritata, aggiungo le lenticchie che essendo precotte in 5 minuti sono pronte. Aggiungo la curcuma tostata, aggiusto di sale e tolgo dal fuoco. Riagguanto il mini pimer e in una ciotola frullo anche questa faccenducola (l’onomatopea è la stessa di prima). Lascio raffreddare.
Che succede adesso? Estraggo con placida benevolenza servendomi delle mie dita paffutelle dei pezzi di composto di lenticchie e curcuma e li appallottolo: insomma, sto a fa’ e’ polpette.
Le infarino nella farina e quando l’ennesima padella – che potrebbe essere una di quelle precedentemente usate e puntualmente lavata – ha la superficie coperta da uno strato d’olio d’arachidi caldo, sfrishhhh, friggo le polpette. Basta che si dorino, non esagero con la cottura altrimenti mi si restringono o si sfaldano e poi impreco con veemenza. Le metto ad asciugare su un foglio di carta assorbente.
Dispongo la crema in un piatto fondo e adagio le polpette. Si mangia tutto insieme, mi raccomando.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: non servono contrasti bensì delicate assonanze per sorreggere questo piatto. Magari con un po’ di tinte oscure che richiamino la tostatura degli anacardi. Metto in tavola un Mamiffer, Mare Decendrii, annata 2011