Dopo aver dominato la scena synthpop negli anni ’80, Gary Numan è sprofondato in un viscoso oblio nei due decenni successivi. Dato ormai per spacciato, riappare dagli abissi con Splinter nel 2013, sorprendente resurrezione in cui il musicista londinese mette cuore e muscoli.

Abbeverandosi alla fonte dei Nine Inch Nails – c’è Robin Finck alla chitarra in quattro brani – Numan sviluppa un flusso avvincente di alte maree elettroniche e riflussi che vanno dritti al centro dell’anima.

Gary Numan, Splinter

Non aspettatevi raggi di sole o storie a lieto fine, qui pulsa un cuore di tenebra grazie a una produzione cupa che avvolge l’intera scena in una densa nebbia industrial di pianoforti neo-romantici, synth abrasivi e drum programming ostinato.

Dimenandosi tra stilettate electro-rock (I Am Dust), surreali ballad sospese nel buio (The Calling) e il Bowie narcotico di “Earthling” (We’re The Unforgiven), Numan trova in Here In The Black uno dei ritornelli più epici e incisivi della sua carriera.

Ben rinato, Gary.

(machine music, 2013)

i am dust | here in the black | everything comes down to this | the calling | splinter | lost | love hurt bleed | a shadow falls on me | where i can never be | we’re the unforgiven | who are you | my last day

Affinità elettive: mirtilli