Sveglia presto e partenza a razzo per Reggio Emilia. É un sabato di fine settembre ma la temperatura è ancora sudoripara, l’estate pare non voler mollare il colpo. Sono con la collega Indira e in auto si parla di musica e cucina, l’ora e mezza di viaggio fila in un batter d’acceleratore e, giunti al luogo di incontro con lo staff dell’agenzia e gli altri 8 blogger invitati, si sgomma verso le tenute dell’azienda Ferrarini.
Fondata nel 1956 da Lauro Ferrarini, grazie alla sua ricetta segreta con 21 spezie, il suo prosciutto cotto s’è imposto nel mercato nazionale e internazionale. Se quindi il grande pubblico conosce il marchio principalmente per l’insaccato, non tutti sanno che dietro le quinte c’è di più. E questo di più è a zonzo nei circa 2000 ettari della tenuta che si estendono fino a perdita d’occhio.
Così, tra colline verdeggianti e gittate d’occhio sulla Pianura Padana, incontro le vacche Jersey utilizzate per ricavare il latte che si trasformerà in Parmigiano Reggiano. Ferrarini, infatti, fa parte del consorzio che produce il rinomato formaggio senza uso di OGM. Le guardo bene, sembrano ben pasciute e in ottima salute, lontane anni luce dal bestiame vessato e malaticcio degli allevamenti intensivi.
Il minibus che porta la comitiva in giro – che comprende anche due dirigenti dell’azienda e i clienti che hanno vinto il tour grazie a un concorso – mi porta in uno dei due caseifici Ferrarini, quello di Puianello (l’altro è a Castelnuovo Ne’ Monti). Passando per tutte le fasi di produzione, giungo nell’enorme cella di stagionatura dove migliaia di forme di Parmigiano Reggiano attendono di essere testate dagli ispettori del consorzio per ricevere il timbro di idoneità. Mai visto tanto godimento caseario tutto insieme. Ne viene aperta una da 20 mesi di stagionatura: inutile dire che sto salivando come un babbuino esagonale.
E allora via, inerpicandoci tra le ripide colline a 450 metri d’altezza rivestite di vigneti che danno vita a Lambrusco e Sauvignon per poi giungere all’acetaia in cui, a sonnecchiare per anni, a volte per ben due decenni, c’è l’aceto balsamico tradizionale creato da mosto d’uva cotto e aceto di vino.
L’odore di aceto è pungente a soave e tenere in mano 18 anni di invecchiamento mi genera un sussulto.
Poi assaggio e, cazzo, è una roba enorme: gusto intenso e forte persistenza anche dopo diversi minuti, la dolcezza pungente si dipana tra le papille e si dissolve lentamente poco prima del buffet di pranzo con salumi e Parmigiano Reggiano, nonché la torta di tagliatelle, che scopro essere un dolce tipico del reggiano fatto con gli scarti dei cappelletti, proprio la pasta ridotta a piccole tagliatelle e usate per questa torta.
Torno quindi a Milano con l’idea di unire aceto balsamico e Parmigiano Reggiano e di cavarci fuori un piatto che porti con sé i segni di un autunno che ci sta mettendo un bel po’ ad arrivare. Così conio questa Crema di zucca al Parmigiano Reggiano e fava tonka, riduzione di aceto balsamico di Modena, finferli all’aglio orsino, briciole di grissini al sesamo.
Andando dritti al punto senza perdermi nei miei consueti soliloqui deliranti, vi notifico, cari Follouà, la lista dei protagonisti di questa pietanza di neurologica coniazione senzatonnica. Qualcuno faccia entrare gli ingredienti aprendo la porta, che ho le mani occupate – devo scaccolarmi l’ombelico, raga, sapete, depositi di cotone (per 4 persone):
– 900 g di zucca fresca
– 300 g di Parmigiano Reggiano grattugiato e qualche scaglia
– fava tonka grattugiata – quanto ne volete
– 300 g di funghi finferli freschi
– qualche foglia di aglio orsino
– un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva
– 6 cucchiai di aceto balsamico di Modena
– sale
– due noci di burro
– brodo vegetale (1,5 litri d’acqua, 2 carote, una cipolla bianca, 3 gambi di sedano, 2 foglie di alloro)
– 8 grissini al sesamo
Afferro con le mie dita artigliate la zucca, la sbuccio le tolgo i semi, la taglio a cubetti e la rosolo in un tegame con burro sciolto. Aggiungo mestoli di brodo vegetale caldo finché la zucca non è così moscia che mi fa quasi venir la depressione. No, non devo deprimermi perché devo: frullarla. Così la svagono nel frullatore e frlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrl, ho una purea omogenea che passo al colino e quel che mi resta lo ripiazzo sul fuoco. Ovviamente dentro un pentolino.
In the meantime, riduco l’aceto balsamico e salto i finferli in padella. Contemporaneamente ma i due padelle diverse. Per avere un aceto ridotto e non bruciacchiato ci vogliono quasi 4 minuti – tutto dipende dalla potenza della fiamma nonché dalla quantità di liquido da ridurre. Quando è a un terzo del suo volume iniziale e ha assunto una consistenza densa, tolgo dal fuoco e lascio raffreddare.
I finferli mi chiedono una cottura breve. Cioè, me la chiedono proprio a voce con la loro vocina finferlista, un po’ simbolista, un po’ surrealista ma anche surrenale. Sono strani soggetti questi cosi catturati nei boschetti. In padella a fiamma alta con un po’ d’olio extravergine d’oliva, bastano 5 minuti secchi per avere funghetti cotti ma non troppo, sodi e tonici e non poltiglia dimmerda: la rovina dei finferli è punita con il taglio dei lacci delle scarpe, una pena orrenda. Un po’ di sale a fine cottura e poi una nevicata di foglie di aglio orsino che ha il sapore dell’aglio ma non è indigesto come l’aglio, adatto anche per i milanesi che fanno gli schizzinosi No Io Senz’Aglio Per Favore.
Cosa m’è rimasto da fare. Ah sì, ridurre la crema di zucca, aggiustarla di sale e mantecarla con Parmigiano Grattugiato e cospargervi su una bella grattatina di fava tonka che somiglia alla cannella e che è tossica tanto quanto la noce moscata ergo andiamoci adagio.
Posso impiattare, lor signori? Grazie. In un piatto fondo, la crema di zucca ben mantecata, gocce di riduzione di balsamico su cosparse con un cucchiaio, immergo i finferli nella crema e catapulto qualche scaglia di Parmigiano Reggiano. Anziché usare dei crostini, per avere un po’ di croccantezza, spezzo dei grissini al sesamo e li lancio nella mischia. Non voglio dirvi di cosa sa il tutto altrimenti vi rovino la sorpresa, ma sappiate che alla seconda cucchiaiata sono alquanto ingrifato. Roar.