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ALBEROBELLO

Lunedì 14 agosto

Gli ospiti di #TonnoInTour, oltre ad aprirmi le porte di casa, si fanno in quattro per agevolarmi negli spostamenti. Francesco e Maria Teresa si prendono la briga di accompagnarmi a Gioia del Colle in auto dove il testimone passerà a un’altra famiglia.

Prima di lasciare Altamura, facciamo un salto al secondo forno più antico della città ancora in attività. Si chiama Santa Caterina ed è stato costruito nel XVIII secolo. Il panettiere che imbuca forme di pane nella bocca del forno ci invita a entrare. Una sala piccola, il pane in bella vista appena sfornato e orde di taralli negli espositori. Ci sono anche i timbri di ferro sui quali era scolpito il simbolo di ogni famiglia per riconoscere a chi appartenessero le forme sfornate. Un tempo i forni erano comuni.

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Quella del pane ad Altamura è una tradizione fortissima e dura a morire, per fortuna. Ne prendo una forma.

Mentre usciamo dalla città, Francesco e Maria Teresa mi danno nozioni storiche su Altamura: il ritrovamento delle orme di dinosauri poco fuori il centro abitato lasciano pensare che questa, un tempo, era una terra sommersa. E poi il famoso Uomo di Altamura, un Neanderthal vissuto meno di 200.000 anni fa e scoperto nel 1993. Il paesaggio è primordiale, fatto di rocce carsiche che sbucano dalla terra giallastra e ammantata di grano attualmente secco.

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Arriviamo a Gioia del Colle e metto in atto una delle regole fondamentali di #TonnoInTour: non c’è tempo per la tristezza dei saluti, ci sono nuovi ospiti con cui entrare subito in connessione. Infatti arrivano Pamela e Ottavio, figlia e padre, che mi accompagnano ad Alberobello.

Durante il viaggio in auto il panorama cambia drasticamente e rinverdisce con ulivi che sbocciano dalla terra rossa.

Trascorrerò due giorni nella casa vacanza della famiglia, Le Chiancarelle – da chianca, ovvero la pietra con cui sono costruiti i trulli – che si trova appena fuori il centro abitato. Quando arriviamo faccio giusto in tempo a lasciare i bagagli che il pranzo è pronto ma a casa di papà Ottavio e mamma Lucia che abitano in paese.

Vado con Pamela, che è fotografa, suo marito Silvio e i loro due figli, Edoardo e Pietro. Appena davanti al portone incontriamo Valentina, la sorella di Pamela che fa la fisioterapista e il suo ragazzo Gianvito, tecnico del suono. Vivono tutti a Roma. La famiglia è al completo.

Il pranzo è tradizionale e senza fronzoli preparato da mamma Lucia: riso, patate e cozze ben fatto, dei formaggi stagionati saporitissimi e qualche fetta di pane d’Altamura che ho portato. Con Silvio, che fa l’ingegnere, abbiamo interessi comuni, soprattutto la lettura, c’è qualche titolo che sconfinfera entrambi.

Mai come in questo tour mi sono concesso tante penniche pomeridiane. Anche qui devo ritemprarmi e, pensando di aver dormito solo un’ora, scopro al mio risveglio che me la sono tirata per più di 2 ore. Frastornato, torno tra i vivi. Sono di nuovo alla casa vacanze che è ricavata da due trulli, ci sono tre appartamenti di diversa grandezza, tutti molto accoglienti e attrezzati.

I bambini giocano attorno a una piscina gonfiabile e sono arrivate anche un paio di amiche di Pamela e Silvio, che sono gli altri inquilini della casa in questo momento. La sera dopo cucinerò una cena di 3 portate con clienti che hanno deciso di prenotare senza conoscere il menu. In realtà neanche io lo so, dipenderà da cosa troverò domani, che è anche ferragosto, in pescheria e al supermercato.

Ma stasera c’è da far fuori una bella razione di carne, così si delibera per una macelleria-braceria che sin dal nome promette fuochi d’artificio: Zio Peppe.

Prima però Valentina e Pamela mi accompagnano per un breve giro del paese, che di sera sembra un piccolo presepe.

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Le casette, molto piccole, erano prima abitate da nuclei familiari anche di più di 10 persone e c’erano anche gli animali. Sulla nascita e la forma dei trulli ci sono diverse teorie attualmente dibattute e quella secondo cui, togliendo qualche pietra la struttura crollava per eludere la riscossione dei tributi da parte dei funzionari aragonesi non mi pare verificata da nessun reperto storico. Indagherò.

Posso comunque dire che, a una certa, lo stomaco brontola e quando mi trovo davanti a Zio Peppe – ma il tizio dietro il bancone con tutti i tagli e le specialità di carne esposti mi sembra troppo giovane per aver guadagnato il titolo nobiliare di zio – per ordinare, questo signore con la s blesa riesce a bloccare il flusso lavorativo per diversi minuti per parlare al telefono. Sempre cose di lavoro, eh, ma questo è l’emblema della placidità e della calma del sud. Con lo stesso coltello, poi, affetta la salsiccia, passa la lama sommariamente su un pezzo di carta e taglia il formaggio.

Non ci si fa domande in questi casi, si mangia e via. E lo spirito hardcore è insito nel tovagliame di carta a quadri, nelle sedie di plastica, tutto un po’ meno kitsch dell’esperienza barlettana.

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Ma c’è poco da lamentarsi quando arriva la cibaglia. Antipasto di salumi e formaggi mostruoso: la ricotta è invero spaziale e il capocollo, anzi, il Capocollo di Martina Franca è il Sindaco del Tagliere. Meraviglioso anche il caciocavallo, tra due minuti mi metto a piangere.

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Mi trattengo però. Anzi no, a breve piango sul serio perché inzuppare il pane nel sugo delle braciole d’asino è un’esperienza che qualunque essere senziente dotato di un palato e di papille gustative funzionanti dovrebbe provare. E non fate gli specisti, l’asino e il cavallo no e il maiale sì: basta con ste ipocrisie, o tutti gli animali o nessuno. Quindi, asino, io ti tributo i giusti onori, sei commovente quanto sei delicato e gustoso.

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Non finisce qui, eh. Arriva anche  un’iniezione di porco con le salsicce che non le mandano a dire, anche se io preferisco quella più fine e, gran finale, bombette, bracioline di vitello e, soprattutto, fegatini in rete. Cottura mirabilmente perfetta, niente sale di troppo, il fegatino è puro colesterolo che condanna per sempre i valori delle mie analisi del sangue ma vaffanculo. Godo forte.

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Il tutto accompagnato dalla bella compagnia dei miei ospiti e di Michele e sua moglie, amici di Pamela e Silvio, con cui si conversa per l’intera serata (mi tocca pure tentare di risolvere un indovinello sul lavoro di Michele, che non azzecco).

Martedì 15 agosto

Non scherzo se affermo di non aver mai visto una persona sfilettare 10 sgombri alla velocità della luce come il tizio che mi rifornisce di pesce. In due minuti di orologio mi da i filetti perfettamente sistemati, devo solo spinarli. É ferragosto e ciò che pensavo di acquistare non c’è, devo quindi rivisitare i piani, mi ci vuole un po’ ma alla fine, come sempre, vengo a capo del problema. Nel giro di un’ora e mezzo termino la spesa, ho tutto ciò che mi serve.

Valentina mi porta a zonzo per Alberobello in pieno giorno e posso così cogliere l’abbacinante luce della pietra bianca.

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Se c’è qualcosa di tipico che devo assaggiare, ad Alberobello, è il Pasqualino. Essendo ferragosto le salumerie aperte che lo preparano sono poche ma con Valentina non desistiamo e ne troviamo uno. É una roba rustica, quasi da muratore: salame, funghetti sott’olio, insalatina giardiniera, formaggio e tonno. E ora chi è che fa il gurmé qui?

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L’aperitivo col Pasqualino non mi ha di certo tolto l’appetito anche perché mamma Lucia ha messo su un pasticcio di lasagne che mi ricorda tanto la mia mamma, rinfrancante e preciso nei sapori, mi da la giusta carica necessaria ad affrontare il resto della giornata, altro che Pocket Coffee. La Lasagna.

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Prima di passare all’azione ai fornelli faccio un salto a casa di Gianvito per prendere pentole e padelle dalla cucina di suo padre, invero un piccolo paradiso fornitissimo per un appassionato di cucina.

Tra mille sudori, principalmente dovuti alla pulizia di ben 2 kg di cozze e con una posa da estetista durante l’operazione di estrazione delle lische dai filetti di sgombro con tanto di pinzette per le sopracciglia, mentre la nonna di Pamela e Valentina supervisiona il mio operato non senza una dose di scetticismo, arrivo perfettamente in orario per il servizio. I clienti sono già arrivati, 17 coperti in tutto, il lungo tavolo all’esterno è apparecchiato sotto trafile di lucine che danno al cortile un’aria intima e accogliente. Pare che il menu sia piaciuto, forse devo calibrare meglio i sapori della pasta, ma direi che ci siamo. E la nonna s’è fatta pure la scarpetta con le salse.

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Menu della cena

Crocchette di pesce persico e patate con San Daniele ripiene di caciotta, salsa di peperone giallo caramellato

Pasta mischiata con cozze, piselli e zucchine su fonduta di pecorino canestrato allo zafferano

Turbante di sgombro con mandorle e nocciole, crema di cipolla rossa di Acquaviva in agrodolce, tapenade di olive e capperi

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Torre Lapillo / Porto Cesareo

Mercoledì 16 agosto 

A fine cena mi sono preso una discreta ciucca tra vino e amari. Ciononostante, sebbene mi sia alzato un po’ troppo tardi, la mia testa funziona a meraviglia, niente emicranie, niente voglia di morire. Solo che Pamela deve fare una gran corsa per accompagnarmi alla stazione dato che il treno parte tra pochissimo e io, come sempre, sono in ritardo.

Riesco a dare un saluto a Valentina e Gianvito che sono anche loro alla stazione, mi sono divertito molto e soprattutto la loro casa vacanze mi aggrada non poco.

Il nuovo appuntamento è a Manduria, a metà strada tra Alberobello e la mia prossima destinazione: Torre Lapillo, tra Porto Cesareo e Punta Prosciutto. La mia prima tappa salentina.

A raccogliermi come un fustino del Dash abbandonato sono Benito e Marta. Lui è architetto e lei lavora nel reparto marketing di un’azienda di moda. Vivono entrambi a Milano, Marta è milanese doc, Benito ha trascorso gran parte di quest’anno in Salento per terminare i lavori della casa vacanze in cui sarò ospite e che è di proprietà della sua famiglia.

Prima di giungere a destinazione attraversiamo in auto un piccolo borgo di pescatori dei primi del ‘900 rimasto intatto, Borgo Colimena: casette basse e piccole stradine, non c’è molto da vedere.

Arriviamo a destinazione in concomitanza con Mariolina e Giovanni, i genitori di Benito. Ed è subito pranzo, anche perché sono le 3 e io non ho mangiato ancora nulla. Mi dicono che pranzeremo con bistecca all’acqua, in tutta onestà penso a una fetta di carne immersa in un guazzetto. Boh, sarà una roba tipica salentina, tipo ‘na braciola. Cor cazzo.

La bistecca all’acqua è la frisa. E, vi dirò, preferisco questa a un pezzo di carne galleggiante in un brodino come avevo prima immaginato. Si immerge la frisa in acqua contando fino a tre e si condisce. In questo caso con insalata di pomodoro che da sola vale il prezzo del biglietto, poi aggiungo anche della giardiniera e un filetto di tonno sott’olio. Me ne faccio 3 che devo crescere.

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Con Benito, nel tardo pomeriggio, andiamo in spiaggia, che è a circa 3oo metri di distanza. Mi racconta che la casa vacanze, l’Antica Villa del Conte, è stata costruita negli anni ’50 sul modello delle torri di vedetta saracene che puntellano l’intera costa. La sua famiglia ha acquistato il podere da circa un anno e l’hanno sistemato ricavando due appartamenti con una terrazza sopra.

La spiaggia è frastagliata di pietre ed entrare in acqua è un po’ un’avventura ma la temperatura è gradevole temprante. Nonostante l’ora, son quasi le 19, c’è ancora un po’ di gente.

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Nello stesso appartamento in cui alloggio ci sono Roberto e Laura coi loro due bambini. Laura compie gli anni ed è stato organizzato un piccolo aperitivo in terrazza da cui si vede l’intera zona a 360°. Molto suggestivo soprattutto mentre il sole cala e restituisce sfumature di rosso e arancione. Arrivano anche Paola e Matteo, sorella e fratello minori di Benito.

Ma non finisce qui, perché l’intera famiglia s’è data da fare ai fornelli e ha preparato una gustosa cena. Gamberi viola di Gallipoli crudi eccezionali, pasta con sugo e fagiolini – piatto tipico della zona – rafforzata da una dose di ricotta forte, simile al pecorino dl sapore talmente piccante che pungola le narici. Poi un polpo a sugo che non ti dico, caciocavallo di grotta e lumachine da mangiare con gli stuzzicadenti.

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Molto bene, la torta di compleanno finale chiude anche questa giornata. Si va a dormire.

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Giovedì 17 agosto

Così come ad Alberobello, il mio avvento in una casa vacanza è occasione per accogliere clienti per una cena preparata da me. Non nego che più faccio cene, meno riposo, meno idee mi sembra di avere. Ma la spesa a Porto Cesareo vagando tra le varie pescherie del luogo mi suggerisce l’ennesimo menu, un po’ ardito perché stavolta avrò 30 bocche da sfamare e un paio di piatti sono a me del tutto ignoti. Me li sono appena inventati.

Faccio il mio primo incontro con il pasticciotto in un bar che si affaccia sul litorale di Porto Cesareo: devo dire che se la sente parecchio. Prima di fare la spesa ci eravamo fermati in un bar sulla strada preso d’assalto dagli avventori e in cui si spacciavano caffè e cornetti e pasticciotti a ritmi inumani. Mi stava venendo il mal di testa.

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Completiamo la spesa acquistando alcuni ortaggi in un orto all’aperto di proprietà di una ragazza di Como che si è trasferita in Salento per fare la contadina, Barbara Borra. Scelta ammirevole e coraggiosa. Ci sono melanzane, caroselli – una varietà di cocomero però simile al melone, dolciastro ma dal retrogusto vagamente amarongolo. Mentre raccogliamo gli ortaggi ci parla del progetto e della voglia di convertire il tutto al biologico applicando la rotazione delle colture ed evitando l’uso di pesticidi. Belle cose.

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A pranzo mi godo l’ennesima razione di latticini tra mozzarelline, ricotta e giuncata, una sorta di ricotta ma dalla consistenza leggermente più gelatinosa, quasi fosse uno stracchino. Il sapore è molto delicato. La ricotta però la batte di brutto, qui in Puglia sto mangiando le migliori che mi siano mai capitate a portata di palato e in Sicilia mica scherziamo, eh.

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Ancora una volta, s’è fatta ‘na certa, urge preparare la cena, c’è un sacco di lavoro da fare. A darmi man forte Paola che si occupa di gamberoni e altri compiti qua e là e Matteo, a cui affido l’ingrata operazione di pestare la frutta secca.

La cena inizia e devo fronteggiare qualche piccolo inconveniente, soprattutto con la fiamma del fornello all’esterno – i tavoli sono nel cortile esterno con l’angolo fuochi a vista, come fosse uno showcooking – non regge bene per via dell’incessante vento. Alla fine, però, come da copione, vinco io contro le fottute avversità, con la massima calma risolvo ogni inghippo e la cena procede con molti commensali che chiedono il bis. La banda di taranta e musica popolare che suona intrattiene i clienti, mi sparo ancora un pasticciotto e direi che per oggi posso andarmi a seppellire a letto.

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Menu della cena

Gamberi e gamberoni viola di Gallipoli con guanciale, crema di patate alla paprika affumicata, ricotta sala, granita di fichi

Risotto al polpo con pesto di basilico fatto in casa, stracciatella, mandorle

Pesce spada marinato con miele e senape al forno, briciole di tarallo, crema di melanzane bruciate, insalata di caroselli

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Lecce

Venerdì 18 agosto

Posso ancora fare un bagno, un altro, oh che bello. Me la prendo comoda, mi alzo tardi, faccio fuori due pasticciotti e con Marta e Benito si va al mare, rifornendoci di pizze e una puccia ripiena di diversi esponenti del regno vegetale e uno animale: capocollo, cipolla agrodolce, friggitelli fritti, melanzane. Il panino light dell’estate.

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Ma la mia permanenza finisce qui, c’è un’altra meta da raggiungere ed è Lecce. Benito è gentilissimo nell’accompagnarmi in auto, così nel tardo pomeriggio, dopo essere uscito dall’ufficio, stringo la mano a Emanuele, il nuovo ospite di questo viaggio.

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La parola ospite è meravigliosa perché racchiude entrambi i suoi significati opposti: è ospite chi ospita, è ospite chi viene ospitato. Dovrei scriverci un saggio, su sta cosa.

Emanuele lavora per un’azienda di booking online e mi ha già annunciato che questa sera ha un impegno. Sarei potuto restare da solo tutta la sera a vagare per il centro di Lecce ma l’UST ha sempre un piano B. E questo Piano B si è materializzato la sera precedente.

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Praticamente, alla cena di Torre Lapillo ci sono i follouà Ludovica e Giulio. Nel dopocena scambiamo qualche chiacchiera e, quando dico loro che il giorno dopo sarei stato a Lecce ma da solo, Giulio fa: io sono di Lecce, vieni a cena da noi.

Les joeux sont fait.

E così fu. Alle 20 Giulio e Ludovica vengono a prendermi in Piazza Sant’Oronzo e in pochi minuti siamo a casa di Giulio dove ci son papà Nicola, sua sorella Giorgia con il fidanzato Giovanni e mamma Eleonora che ha preparato la cena.

Come di consueto, io non mi tiro affatto indietro quando c’è da onorare la tavola, anche perché c’è dell’alto godimento palatale sotto le spoglie di una parmigiana di melanzane, delle cozze gratinate – con il pecorino a dare ulteriore carattere – pittole (frittelle di pasta lievitata), cipolla in agrodolce e peperonata, senza dimenticare un rustico, una delle specialità leccesi (pasta sfoglia ripiena di pomodoro, besciamella e mozzarella) e l’ennesimo pasticciotto della giornata, il terzo per non abbassare il tasso glicemico.

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Tutto eccellente, tra l’altro irrorato con l’ennesimo rosée, che vi dirò non è il tipo di vino che preferisco ma bevilo oggi, bevilo domani, il palato inizia ad apprezzare.

S’è mangiato bene ma s’è mangiato tanto così con Giulio e Ludovica si fa un giro in centro per alleggerire l’operazione digestiva.

Giulio è molto preparato sulla storia di diversi scorci della città, passiamo di fronte alla Basilica di Santa Croce, da diverso tempo in ristrutturazione – e in cui mi mostra, accanto al rosone, il profilo dell’architetto che vinse l’appalto e che lo fece scolpire per sfregio al suo avversario – un piccolo angolo della Lecce romana visibile a malapena attraverso un vetro sul marciapiede, due delle quattro porte della città e una chiesetta d’epoca bizantina.

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In giro per il centro c’è parecchia gente, è tornato il caldo e per le strette vie non si muove un alito di vento. I lampioni dalla luce itterica tipica delle città del sud lasciano intravedere quello che noterò il giorno dopo, una pietra, quella leccese, bianca e abbacinante (usata perché seccava rapidamente al sole dopo essere intagliata).

Mi congedo dai ragazzi, che ringrazio sentitamente e quando Emanuele rientra a casa, in piena notte, ronfo così profondamente che non sento un beato cazzo.

Sabato 19 agosto

Alle 11 di mattina io ed Emanuele ci attiviamo come due coniglietti della Duracell. Pimpanti ma non troppo, ci dirigiamo da Alvino, storico bar di Lecce che si affaccia su Piazza Sant’Oronzo e sugli scavi che la costeggiano.

Facciamo quattro chiacchiere sul cosa fai tu, cosa faccio io e stabiliamo il piano d’azione: farci del male a suon di cibo. A pranzo.

Battezziamo la giornata con un pasticciotto a testa per fare colazione: meraviglioso, tiepido che si sfalda dolcemente in bocca con la lievissima croccantezza della base che copula con la crema dell’interno. Ciao, sto venendo. Oddio, non si dice, scusate.

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Dopo un salto in libreria per ammazzare l’attesa per l’ora di pranzo, partiamo a razzo. E ripartiamo da Alvino, stavolta si va di salato: rustico e calzone a forno. Il primo è proprio furibondo, bello ciccione e godurioso, il secondo in verità alquanto deludente e quasi tristomane, duretto e poco cotto.

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Vabbè, ho poco di che rattristarmi perché mezz’ora dopo siamo in via Matteotti in un altro dei posti più celebri di Lecce, stavolta per le pucce: L’Angolino.

Appena leggo il menu non ho dubbi: spezzatino di cavallo a sugo. Che cazzo di domande sono? Per dare però un tocco di umana parvenza alla pratica, decidiamo con Emanuele di prendere anche una puccia con lampascioni, cime di rapa, pomodorino, mozzarella, acciughe e olio piccante. Non manca più nessuno, solo non si vedono i due liocorni, ma basterà mangiare entrambi i panini per vedere tutti i santi.

Emanuele è un po’ recalcitrante nell’assaggiare il cavallo ma io sono un bastardo tentatore e riesco a fargliene mangiare più di un quarto. Gradisce, lo sapevo. Io pure: la carne è tenerissima e il sugo è sublime. Sebbene meno biliciara, anche l’altra puccia merita i giusti onori, l’acciughina dona corpo e fa contrasto con la mozzarella ed è moglie prediletta delle cime.

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Il riposino pomeridiano accende un’ulteriore luce sulla giornata leccese. Emanuele vuol mostrarmi la Grotta della Poesia, nei pressi di Melendugno. Dopo bestemmie assortite per trovare parcheggio, riusciamo a introdurci in un autentico inferno di esseri umani che popolano questo piccolo altopiano roccioso che cade a strapiombo sul mare. Decine di corpi in costume si lanciano in una piscina artificiale.

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Troppo casino, impossibile poggiare le robe, andiamo verso San Foca per un bagno al tramonto.

C’è però della fame. Di nuovo. Abbiamo un tavolo riservato da Tormaresca, locale dall’ambiente molto curato e dal menu interessante. E alle 21.30 siamo ai posti di combattimento, profumati e imbellettati.

Il servizio è un po’ troppo fluido – leggasi lentissimo – ma posso chiudere un occhio a fronte di alcuni piatti ben fatti. Tipo le frise con tartare di tonno e melanzana “cremificata” (minchia, è difficile scrivere un banalissimo “crema di”? Quando finirà questa fighetteria gratuita?) e l’eccellente carbonara di mare rifinita con bottarga, in cui sento dello scorfano. Tutto ben eseguito, devo dire, gli accostamenti ben equilibrati così come le consistenze, ben calibrate. Li promuovo.

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Gira e rigira, la nostra missione prevederebbe anche uno spuntino notturno ma la nostra meta è chiusa quando arriviamo, quindi ci concediamo due lussuosi gin tonic, ci immergiamo nella folla del sabato tra pantaloncini fin troppo corti e del simpatico buzzurrume e la notte, che per molti altri è giovane, per noi diventa vecchia.

Ah, mica andiamo a dormire a stomaco vuoto, alla fine lo spuntino ce lo spariamo uguale, altro salto da Alvino, rimasto aperto fino alle 3, Emanuele alle prese con un pasticciotto al pistacchio, io con una pizza a portafogli. Eh, dovevamo assorbire l’alcol.

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Menu del pranzo

Carbonara di mare con uovo e crema di vongole, pecorino, cozze, tonno affumicato

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Gallipoli

Domenica 20 agosto

Non avendo cucinato nessuna cena, mi sdebito con Emanuele preparandogli una portata a pranzo. Lo uso come cavia consenziente per uno dei miei esperimenti che propongo sul menu delle mie cene a domicilio, una carbonara di mare con crema di vongole, cozze e tonno affumicato. Da consenziente, Emanuele si tramuta di cavia compiacente. Ne sono contento.

Anche lui riesce a darmi uno strappo alla mia successiva e ultima destinazione di questo Tour: Gallipoli. É lì che mi attende Isabel.

Ci si fionda subito in spiaggia, stavolta per me è davvero l’ultimo bagno della stagione. Tra due bracciate e un’asciugata sul calar del sole scambio quattro chiacchiere con Domenico, Ambra e Vincenzo, amici di Isabel.

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All’orizzonte si affacciano nubi minacciose che mantengono le promesse. Quando con Isabel e Ambra ci immergiamo nel traffico gallipolino, la temperatura s’è abbassata parecchio, il vento soffia arrogante e ogni goccia di pioggia è un mezzo proiettile.

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Ci addentriamo nelle viuzze del centro, destinazione Scafùd, panineria di pesce gourmet il cui nome rimanda sia al food ma anche al verbo scafuddare, che sia in salentino che in siciliano vuol dire “scassarsi di cibo”.

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E da Scafùd la cibaglia non manca. Parto con un’ostrica di casanoviana reminiscenza e passo alle pittule miste, alcune con del pesce, molto buone ma riempiono subito. Il fritto misto è croccante e poco unto ma il piatto che più mi intriga è la tartare di tonno con stracciatella, frisa e del cioccolato fondente: abbinamento curioso, alquanto stuzzicante.

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Poi tocca al panino, su cui, lo ammetto, riponevo speranze maggiori: salsiccia di salmone, feta, ciacureddi (cicoria, per intenderci) e mandorle. Manca una salsina, un qualcosa che renda meno stopposo e secco il tutto. Non male però nei sapori complessivi.

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Esco abbastanza pieno e mentre Vincenzo, che si è aggregato a noi, mi da qualche dritta su alcune ricette tipiche gallipoline, col vento ancora in poppa ma con la pioggia che ha smesso, chiudo la serata con un gin tonic.

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Lunedì 21 agosto

L’ultima sera, l’ultima cena. Fino a che non faccio la spesa, come sempre, non so cosa cucinerò.

Mi carico con un altro pasticciotto, ancora, l’ultimo. É tutto ultimo, lasciatemi godere in santa pace, tanto la glicemia è mia (lo dice la stessa parola).

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Al mercato del pesce di Gallipoli i pescivendoli sono davvero aggressivi e per respingere i loro attacchi votati a rifilarmi qualunque cosa – a prezzi furbescamente maggiorati essendo straniero – devo fare appello a tutta la mia calma. Mentre Isabel, che fa la criminologa, mi osserva che parlo da solo e prendo appunti sul mio taccuino cercando di chiarirmi le idee, riesco a cavare fuori il menu. Prendo il necessario, finiamo la spesa in un supermercato gremito di gente e si fa l’ora di pranzo.

Isabel mi porta da Mare Chiaro, ristorante sul molo gestito da una famiglia che ha una decina di locali. Mentre parliamo delle esperienze politiche di Isabel alle recenti elezioni comunali, io faccio fuori un altro fritto di pesce, rustico ma ottimo, e dei paccheri con gamberi di Gallipoli, con un sughetto che mi costringe a fare una superlativa scarpetta, così do una mano al lavapiatti.

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Sono satollo ma devo lavorare. Parto un po’ in ritardo ma recupero strada facendo, è sempre colpa della pulizia delle cozze.

Oltre a Isabel e Ambra a cena ci sono il fratello della mia ospite con la fidanzata e una coppia di amici. Sono tutti miei cavie perché provo piatti super inediti, soprattutto l’antipasto, che è venuto fuori davvero pettinato.

Siamo tutti contenti, complice il vino. Io sono stanco, disfatto, 20 giorni intensi senza sosta ma con un bagaglio di idee e assaggi nuovi niente male. Ma soprattutto un ulteriore impulso a viaggiare, migliorarmi, conoscere i luoghi e i piatti che danno identità a una comunità. Non facendo il turista in hotel ma dormendo su letti e divani di persone come me, che in più di me conoscono i sapori della terra in cui metto piede e in cui sono straniero. Piatti che rischiano di sparire per colpa di un palato medio sempre più standardizzato e impoverito, disabituato alle sfumature forti, ai sapori primordiali, troppo spaventato dalle calorie e da pregiudizi, a volte ipocriti. Il mio palato è la mia bussola, voi fate quel che vi pare.

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Menu della cena

Tortino di patate alla curcuma ripieno di cozze su crema di pomodorino e cozze, stracciatella e bottarga di tonno

Lasagna con polpo alla Luciana e ricotta vaccina

Cotoletta di pesce spada con panatura alla camomilla, gazpacho verde con frisa di grano, gelato di melanzane fatto in casa (senza la gelatiera)

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La mattina successiva, il 22 agosto, una navetta offerta gentilmente da Isabel mi accompagna all’aeroporto di Brindisi. Il viaggio è sereno e con l’autista scambio solo qualche parola sulla precaria viabilità del Salento.

L’aereo decolla, il viaggio senza la minima turbolenza, atterro a Linate, ci sentiamo al prossimo #TonnoInTour.

Stay tuna

Leggi le prime due parti del viaggio:

#TonnoInTour | Puglia_2017: da Foggia a Cerignola passando per Vieste

#TonnoInTour | Puglia_2017: Barletta, Polignano a Mare e Altamura sola andata

Ascolta la playlist di #TonnoInTour