Autunno, le melanzane sono bandite dalla dieta dell’Uomo Senza Tonno. Una senza possibilità di revoca. Ma durante il freddo, rinunciare all’agrodolce di una sonora caponata è un flagello inaccettabile.

Scervellandomi e battendo la testa branchiata su ogni muro di Milano, ho preso la decisione pinnata più appetibile e abbordabile. E stagionalmente compatibile. Si può scrivere stagionalmente?

Caponata di zucchine? Mavatinni!

Caponata di cavolo? Suca!

Caponata di legumi? Sono già fuggito da Petolandia!

Caponata di tua sorella? Magari!

Il Carciofo fu selezionato. Invincibile eroe di cene autunnali-barra-invernali. Ecce Homo, lui sostituisce la defezionaria melanzana, con l’augurio che torni presto, cioè per la prossima estate.

Da dove comincio? Dal carciofo. Ne prendo 6, quindi carciofI, perché la caponata va mangiata per più giorni: più fredda e “invecchiata” è, più il palato intona canti di giubilo.

Pulizia: taglio i gambi e li pelo e li riduco a tocchetti. Elimino le foglie esterne, seziono il cuore in quattro parti, tolgo la barba centrale e le foglie interne con la spina. Taglio a fette e immergo tutto in acqua acidulata con succo di limone per non alterare colore e sapore.

Affetto due cipolle rosse, due gambi di sedano. In una pentola abbastanza capiente cper capire le mie esigenze di Uomo Senza Tonno con le voglie di caponata impresse sulle lische soffriggo sia cipolla che sedano per 4 minuti.

Aggiungo i carciofi e faccio rosolare per una decina di minuti a fiamma vivace e con la pentola incoperchiata: col vapore si ammorbidiscono ma senza perdere la punta croccante.

Aggiungo adesso la polpa di pomodoro, una bottiglia intera e successivamente 3/4 della stessa bottiglia di acqua. Fiamma alta, lascio andare finché la salsa non si sarà sensibilmente ridotta e l’acqua evaporata del tutto.

Da questo istante in poi verranno scritti sublimi momenti di inusitata poesia palatale. Prima i capperifanno la loro comparsa con sillabe sapide strepitose, poi le olive, con endecasillabi maestosi.

Il cantico s’insaporisce e s’invigorisce. Giunse l’ora dell’Agrodolce, ascensione verso il Pantheon dell’estasi. Il momento è ieratico e il mondo tutt’intorno s’arresta, i respiri sospesi nell’aria inerti, l’asse terrestre arresta la rotazione.

Verso meno di un bicchiere di aceto di vino rosso con un cucchiaio di zucchero sciolto. Lascio che il destino dell’agrodolce si compia e che l’acidità abbandoni questo piatto.

Voilà. Rifinisco con della menta. C’è chi ci metterebbe l’alloro, ad esempio mia madre. Ma sono un marmocchio disobbediente, nonostante la ami alla follia. La mamma, of course. (anche papà).

– In ascolto: Tori Amos, Little Earthquakes