Sono un appassionato di hamburger. In tutte le fattezze, di qualsiasi materia, tranne di merda, hamburgero che è una meraviglia.

Dopo aver sperimentato con legumi e conseguenti flati di tripudio, codesta sera mi immergo negli abissi. E tiro fuori una spigola. Che mi ritrovo, guarda caso, nel frigorifero. Inerme e consapevole del tuo tritevole destino.

In primis, però, preparo il contorno. Acchiappo una zucchina fuggitiva con zaino in spalla, la sbatto sul tagliere ne taglio fette sottilissime a prova di radiografia senza radio. Piccole e trasparenti sacre sindoni di zucchina con tutti i semini impressi a formare divinità varie ed eventuali. Insomma, sto a fare un carpaccio.

Senza marinatura, chemminchia di carpaccio è? Postomi questo inquietante ma non irrisolvibile quesito, mi industrio. Il succo di 2 limoni, 3 cucchiai di salsa di soia, 3 cucchiai di olio extrasatanista di oliva, emulsiono a più non posso che quasi mi si sloga il polso e, wa-tààààà, verso il tutto sulle fette di zucchinadissezionata che giacciono già dentro una ciotola di terra cotta. Copro con uno strappo di pellicola e metto in frigo per un’ora.

Spigola. A noi due.

Ti ghermisco con malignità, impugno il mio coltello da pulizia-e-sfilettatura-del-pesce e via con le incisioni.T’eviscero, mia cara, non lo lascio fare al pescivendolo perché mi lascia sempre la merda dentro, e ti sfiletto. Ti sciaquo e parte da qui la parte più rompicoglioni. Dapprima ti delisco, o dolce spigolina, poi ti spello o desquamo o come cazzosidice e dalla moltipilcazione dei filetti di pesce, mi ritrovo 2 filetti che poi taglio a metà e diventano 4. 

Giunto a questo punto della fabula, ti devo triturare. Ma non ti frullo perché mi pare indegno. Prima cubetti, poi mezzicubetti, poi quarticubetti, per ottenere siffatta cubetteria.

Oh. Chebbello, ho già inumidito con acqua una fetta di pancarrè che adesso sbriciolo nella ciotola del pescemulticubista.

Ma non è mica finita. No no. Agguanto un limone, estraggo una fettina piccola e sottile, che trito e unisco al composto nella ciotola. Stessa cosa per 2 foglie di menta fresca. Trito, aggiungo.

Per preservare il sapore del pesce il più possibile: a) non ammollo il pancarré nel latte bensì solo con acqua; b) non uso l’uovo nell’impasto.

Ecco qui, la parte più cazzarra. Appallottolo il composto, estraggo due sfere (non palle) e le schiaccio. Con un bicchiere da birra prontamente rubato qualche settimana in un pub, do forma ai due medaglioni definendone i contorni. Cospargo entrambi i lati di entrambi gli hamburger con del sesamo.

Et voilà. Padella incandescente e foderata con un foglio di carta forno per evitare che, cuocendo, gli hamburger si disfino, oltre a emettere fumi che renderebbero questo posto un putrido covo infetto di miasmi di pesce e cuocio ambo i lati finché il sesamo non avrà creato una patina croccante e i bordi non siano bianchi.

Adagio sul piatto da portata gli hamburger, a cui ho aggiunto una presa di sale e un filo d’olio, e vi accosto accanto il carpaccio. Non sto qui a descrivere il sapore delicato del pesce che si combina con l’agrumato della scorza di limone e i sentori silvestri della menta. Non te lo dico perché te lo devi magnà, altrimenti sei uno sfighetto.

Stay tuna

S’abbina un bel Black Angels del 2006, Passover.