Un rantolo demoniaco emerge da chissà dove saturando l’aria. S’interrompe e sboccia lo sghembo giro di Mer. Chelsea si muove sinuosa su questo manto sonoro che ondeggia come un gigantesco telo nero tormentato da una tempesta di vento.

La Wolfe porta in dote l’anima gotica di Nico e Siouxsie ma è figlia dell’alternative rock degli anni Novanta, guarda all’arido universo del desert rock senza impolverare le chitarre, ha i geni del metal ma qui non c’è fragore.

Chelsea Wolfe, Apokalypsis

Il songwriting è semplice e snello, basta un solo motivo melodico per generare sublimi requiem che raccontano di fragili emozioni divorate dalla solitudine o dai demoni di relazioni brutalmente finite.

É una narrativa ammaliante quella di Apokalypsis che riesuma gli spiriti dei poeti maledetti, Baudelaire e Rimbaud su tutti. La sua forza poetica sta nell’ostinazione con cui reitera i versi, come la raggelante domanda che fa di Movie Screen l’apice emotivo dell’intero lotto: don’t you ever cross that bridge in your mind again (it’s like a movie screen)?

(sargent house, 2011)

primal/carnal | mer | tracks (tall bodies) | demons | movie screen | the wasteland | moses | friedrichshain | pale on pale | to the forest, toward the sea

Affinità elettive: alga wakame, scura, salata, abissale