«L’Uomo Senza Tonno si perse in una formina di alluminio per sformati. I suoi passi balbettavano come i pensieri su un lucido pavimento imburrato. Anche un po’ scivolosello. Tutt’intorno, alte pareti di canyon al pangrattato. Mica catsi. Annodava la peluria facciale nel bel mezzo di una penuria di idee. Era alla ricerca di una ricetta adatta per ricevere i suoi ospiti.

Volse lo sguardo al cielo. Nuvole simili a infiorescenze di cime di broccoli bianchi.

L’Uomo Senza Tonno attendeva l’illuminazione, l’eureka che lo avrebbe condotto al successo palatale. Ma in quel deserto dei tartari non gli veniva in mente neanche una una misera tartare di croccantini per cani.

Un tuono all’improvviso. L’Uomo Senza Tonno pensò che, forse, la zuppa di ceci della sera prima poteva evitarla. Ma al secondo tuono capì che il rombo non proveniva dal suo poco nobile antro. Rivolse lo sguardo al cielo e, su una foglia di radicchio adornata ai lati da fiocchetti di paté di salmone da cui penzolavano i salmi del Re Salomone, discendeva un omino col saio intessuto di fettine di speck.
L’Uomo Senza Tonno, inforcati gli occhiali quadrati da ragionier Filini, mise a fuoco l’individuo non appena questi fu atterrato nella formina e gli fu vicino. Sul cartellino di flano pinzato sul petto dell’avventore stava scritto: San Flancesco, protettore degli sformati e soccorritore degli aridi di idee.

L’Uomo Senza Tonno, atterrito come una terrina atterrata sul Tirreno sul dorso di un toro di torrone, si marmorizzò.
San Flancesco disse: “Sarò flanco con te. Mi sembri un bravo picciotto. Certo, quella barba da antilope caramellata del Missouri potresti accorciarla e quelle occhiaie… per cortesia, fa’ qualcosa per quelle occhiaie. Ma vabbè, bando ai consigli estetici”. San Flancesco si guardò intorno, rovistò tra le tasche del suo saio di speck multitasking, e ficcò la mano in una da cui spumeggiava del la crema chantilly rappresa. Ne estrasse un foglietto che pesava mezz’etto e redatto con cura come fosse un sonetto. Posò occhi saggi e paterni sull’Uomo Senza Tonno, ora piccolo come uno dei chiodini con cui giocava all’asilo.

San Flancesco allungò la mano e gli porse il foglio. “Prendine e preparane per gli invitati alla tua cena – disse con voce croccante – questa è una ricetta flancese. Per lo meno, la base. Ti servirà un ingrediente scoreggino e uno ben salato e la combo è fatta. Trattamela bene, non inflangere il procedimento altrimenti ti faccio fustigare da Justin Bieber vestito da spaccalegna ma col ciuffo platinato come Cristiano Malgioglio. Ti ho avvisato, vedi tu”.

I due rimasero sospesi nel silenzio mentre fiotti di gratitudine gratinata irroravano l’anima dell’Uomo Senza Tonno, adesso rinflancato.

Un sospiro profondo e San Flancesco mise la mano in un altro taschino, da cui spiccava un mazzettino di cardi flosci. Tirò fuori un cosino stick argentato e lo porse all’Ometto Privo di Tuna Fish. Era un aggeggino proveniente dal magico universo della cosmesi.
“E questo è un correttore per occhiaie”, disse San Flancesco, “abolisci quelle melanzane che hai attorno agli occhi. Se ti vedono, quelli del WWF licenziano il panda e prendono te come testimonial. Non solo l’estinzione, anche la disoccupazione per il panda? Insensibile. Avido. Ignavo!”

E sulla scia di questi epiteti, San Flancesco ascese al cielo sulla sua foglia di radicchio adornata da fiocchetti di paté di salmone da cui penzolavano i salmi del re Salomone e l’Uomo Senza Tonno cadde in un profondo sonno. Si risvegliò nella sua cucina, con tutti gli ingredienti pronti per l’uso».

FINE DELL’INTRODUZIONE

Come ti ho appena raccontato, ho avuto una visione. Sono stato quindi incaricato di preparare questa ricetta dall’esimio santo protettore degli sformati che mi ha lasciato in eredità una vocina insistente nella testa, come capita a quei tizi che entrano in ufficio e sparano all’impazzata e poi confessano che è stato Dio a ordinarglielo.

Ho 3 ospiti a cena e sviluppo per la prima volta nella mia vita, in diretta e in esclusiva solo per gli abbonati…

Silenzio in sala.

Chi è che parla??

Si tossisce mentalmente, per cortesia!

Silenzio. Asfidanken!

I Flan.

Flan flan flan flaaaaaaan. Flan flan flan flaaaaaaan.

Colto in flangrante, quanti nomi-cose-città servono per l’immensità gonfia di flan in quantità tale che sfamino 4 persone? Insomma: ingredienti:

Béchamel
– 50 gr di burro
– 50 gr di farina
– 500 ml di latte
– noce moscata
– un pizzico(tto) di sale
– 500 gr di broccoli verdi o bianchi o di qualunque colore ti piaccia o trovi per le vie del mondo
– 250 gr di speck affettato o a pezzo ma se lo prendi a pezzi, riducilo a minipezzi
– 4 uova (da estrarre mezz’ora prima dal frigo per poter montare a neve l’albume)

L’avventura nel fatato mondo dei Flan inizia col broccolo. Guarda quant’è bello. Il broccolo ha notorie proprietà antiossidanti, contiene vitamina C, fa bene ed è buono ed è anche divertente: fa fare delle trombette da manuale. Ammettilo. Quando lo sforzino ti rende cianotico e senti il sollievo dell’evacuazione aerea che si dipana nelle circostanze, non è una Festa della Liberazione? Il broccolo è un tantino scoreggino e mi sta simpatico per questo. Quando cuoce esala quell’odoretto meraviglioso che ti induce a riprodurlo più tardi. La cucina si trasforma in una bolla scoreggiosa. Un profumone. Acqua di Brò. Se fosse un nano dei sette nani, anzi no, un ottavo nano aggiuntivo con una testa da broccolo con tutte le cime verdognole, si chiamerebbe Scoreggiolo.

He goes fart away. L’Isola dei Fartosi. Farte largo che devo passare.

Basta.

Favolette petomani a parte, lavo per bene i due broccoli da 250 grammi ciascuno, li taglio in duecontemplando per alcuni secondi la perfezione delle loro diramazioni da albero frattale, li immergo in acqua già bollente dentro una pentola capiente.

I broccoli se ne stanno 25 minuti a sguazzare nell’acqua e chi s’è visto s’è visto.

Una volta ammorbiditi, prendo sta pentola co’sti broccoli, li scolo e, in una padella (nella fattispecie, una paellera) già pronta con un po’ d’olio e uno spicchio d’aglio, li scaravento per una bella saltatina trallallero,per disfarli il più possibile. Mi bastano 5 minuti di orologio da parete (se hai un quadrante in quarzo, il tempo potrebbe dilatarsi) per annientarli e renderli simili a una poltiglia. Un messaggio nella poltiglia. Tolgo dal fuoco.

Una volta disfatti, i broccoli riposano 10 minuti. Giusto il tempo per preparare la mia tanto cara amicabéchamel. Io t’amo, béchamel. Se fossi una donna, m’infarinerei tutto per te, sarei il tuo pistillo tiglioso e disinibito. Smetterei persino di mettermi le mani nel naso mentre guido (a proposito, mi è scaduta la patente: quando me l’hanno consegnata dieci anni fa, mai avrei creduto che sarebbe accaduto), di scaccolarmi l’ombelico quando si riempie con i pelucchi della maglietta. Imparerei persino a fare la O col bicchiere, abilità mai appresa dagli Uomini Senza Tonno. Ma invece sei una cosa liquida, bianca e lattiginosa, ragion per cui, mi risparmierò tutti sti Sacrifizi d’Ammoure.

Bèchamel, io ti do la vita nel seguente modo: intanto, mi armo di frusta, perché non voglio grumi nei paraggi. Poi, depongo 50 grammi di burro salato in un pentolino e lo faccio sciogliere. Prima che si dori, Isidoro, aggiungo 50 grammi di farina. Mescolo per creare un roux compatto pronto per accogliere il latte, di cui ho già messo da parte mezzo litro.

Glu glu glu glu, il latte s’abbatte sul connubio per un sodalizio che non dev’essere sodo, bensì denso dal sapore intenso, arricchito da una (consueta) grattatina di noce moscata e una mini-presa di sale, dato che, assaggiandola, è liscia come l’acqua sgasata. Lascio sul fuoco finché non raggiungo la densità che voglio. Spengo il fornello, canto un ritornello e lascio riposare mentre arabeschi di fumo si levano dalla pentola.

Prima, però vorrei parlare del salumiere del supermercato. È un po’ tarchiato e ha la faccia di uno che vuol prenderti sempre per il culo. In fondo potrebbe starmi simpatico se non si ostinasse a voler fare il simpatico senza esserlo. È terrone come me, e a noi terroni piace far gli splendidi. Come tutti i salumieri, però, ha uno spessore abbastanza spesso di default quando gli ordino l’affettato senza specificare Molto Sottile, Grazie. Ricordo ancora quelle fette di mortadella che sembravano cotolette di stegosauro. Cristo santo, io la mortadella la voglio a prova-di-raggi-infrarossi. Ci voglio vedere attraverso come un guardone che rimira con voluttà la sagoma di un’avvenente donna che si spoglia dietro il separé. E gli avevo detto il Molto Sottile, Grazie. Stavolta per lo speck non gliel’ho detto. Conosco il pollo. L’avrebbe tagliato spesso. E, come da copione, il pollo ha affettato lo speck proprio come mi serviva senza costringermi a impiegare ossigeno vitale. Bravo salumiere. Cazzo. Finalmente un’affettata come si deve di tua spontanea iniziativa. Tu e il tuo braccino pelosetto che termina su un guanto di lattice monouso, bravi tutti e due. Tutti e tre (tu, il braccio e il guanto). Un’ode alla lama dell’affettatrice che ha generato delle fettine di speck di medio spessore, che era proprio quello che mi serve.

Insomma, lo voglio affettare sto speck, o devo star qui a ringalluzzire la pagina coi miei soliloqui sul salumiere, un salumiere come tanti che non t’affetta mica il salume sottile quando non glielo dici?

Dai, Marco, su, continua co’sta cazzo di ricetta, che poi l’utente smarmitta via verso blog più succinti e utili. Sei un narciso. Smettila. Inculati.

No, non m’inculo, non mi piace.

Caro lettore o lettrice, vuoi sapere come finisce la storia del Flan? Continua a leggere, allora.

Affetto lo speck riducendolo a straccettini-ini-piccini-qui-quo-qua. Pezzi molto piccoli, mi raccomando.

Frl frl frl frl frl frl frl, ti frullo l’onomatopea. L’operazione dura il tanto che serve per ottenere una purea.

Afferro quattro uova che ho tirato fuori dal frigo mezz’ora prima. Perché mezz’ora prima? Hai mai visto un albume freddo che monta a neve come il-Signore-Dio-Tuo-comanda? Se sì, ti dico: ‘cazzo dici? Ma può succedere.

Comunque, ti lascio alle tue leggende metropolitane in fatto di montaggio di albumi perché non ho tempo da perdere per queste diatribe: devo separare i tuorli dagli albumi di tutte e quattro le cellule munite di guscio di oviparo pennuto.

Clic clac, altaleno con una destrezza degna di un mutilato di guerra da un metà-guscio a un altro, lasciando fluire l’albume mucoso in una ciotola appositamente adibita per raccogliere gli albumi mucosi. Verso la purea di Broccolo Scoreggioso & Coraggioso come Babe il Maialino nella béchamel. A ruota seguono i tuorli.Creo un impasto compatto.

Aggiungo lo speck all’impasto. Prendo un comunissimo cucchiaio da minestra e, sclap sclap sglick,amalgamo broccolo, tuorli e speck. AMALGAMO. Prima persona, tempo presente. Ottengo una crema verde puntellata da coriandolini di speck qua e là.

L’uomo che montava le chiare
Gli albumi, detti anche Le Chiare. Le monto a neve con un pizzico di sale e adoperando una frusta a mezza luna con delle circonvoluzioni di acciaio, ben diverse dagli archi della frusta classica, quella che ho usato per la béchamel.

Comincio a ravanare. Ravano. Ravano. Dopo 30 secondi sono già stanco, sento la spalla dissociarsi dal corpo, le vene ingrossarsi e indurirsi, l’avambraccio e il polso dimenarsi come due palline da flipper. Gesù bambino, 33 secondi di ravanaggio dell’albume e già non ne posso più. Vorrei delegare il compito del montaggio delle chiare a qualche passante bastardo e scansafatiche 5 piani più giù, lì nella strada, là sul marciapiede.

Ma desisto, quindi persevero.

Dopo qualche bestemmiucola a denti stretti e non so quanti minuti di ravanamento, ma saranno credo 5,viene fuori una schiumetta così compatta e ferma che le aziende che producono cemento per costruire capanne in Nuova Caledonia dovrebbero assumermi come Ingegnere della Consistenza. Bravo Ometto senza Tonno, visto che ce l’hai fatta?

Chiara montata

Verso le chiare montate a neve nell’amalgama e ri-amalgamo con cura per evitare che si smontino. Ma sono un coglione, amalgamo un po’ più forte del dovuto e gli albumi si smontano un tantino. Mea culpa.

Ottengo una mistura cremosa che, mi auguro, gonfierà lo stesso per bene nel forno, altrimenti gli vendo l’intera famiglia al mercato nero degli organi Hammond.

Con tutta la rapidità che la Natura mi ha dotato, prendo le formine di alluminio, quelle che voi signorinelle dei blogghe di cucina sdolcinati adoperate spesso per farci i dolci-ssimi per i vostri fidanzati-ssimi e mariti-ssimi, e con del burro imburro le pareti e il fondo.

Ricorda la visione dell’Uomo Senza Tonno. Era lì, nel mezzo di una formina oscura.

Con del pangrattato rivesto lo strato di burro. In questo modo, una volta cotto, il flan scivolerà senza alcuna difficoltà dalla formina, dato che non si attaccherà.

Riempio una per una le formine con estrose cucchiaiate della mistura prodotta con broccolo-scoreggiolo, lo speck-ietto-retrovisore, le chiare montate, i tuorli-del-precipizio. Evviva.

Ma non è finita qui. Il trucco è nel Bagnomaria-pieno-di-grazia.

Sì, per far gonfiare bene sti flan è necessario che in forno si sviluppi del vapore. Che faccio, allora?

Prendo una teglia capiente, dispongo l’una accanto all’altra le formine pronte. Verso acqua fredda nella teglia fino a poco meno della metà dell’altezza delle formine e ficco in forno a 200°.

Il mio forno è bradicinetico, quindi ci mette molto a cuocere i giovani flan, ovvero 45 minuti durante i qualicontrollo lo stato di cottura interna infilzando uno stuzzicadenti in un paio di esponenti della colonia flancese. Non appena viene fuori asciutto, il flanchising è pronto per la degustazione del popolo.

Li estraggo dagli stampi capovolgendoli e li servo caldi altrimenti si sgonfiano. L’ultimo tocco spetta a una minuscola manciata di nocciole tritate, che arricchiscono la texture di sapore.

Quando io e i miei 3 ospiti assaggiamo il prodotto di tanto sbattimento, non possiamo notare la saggia scelta di NON FRULLARE lo speck-io-per-le-allodole col broccolo. La presenza di un ingrediente solido mitiga l’assoluta morbidezza della base del flan (béchamel + broccolo frullato), che alla lunga può dare a noia.

Se tu dovessi quindi provare a cucinarli, metti sempre un ingrediente che dia solidità all’insieme. Non dire poi che non ti ho avvisato/a.

Il Disconsiglio: tra verdeggianti cime e sapidi lembi che inebriano il palato, il flan ha un sapore dal tono impressionista. Il velluto dei volteggi sinuosi dell’oboe, la limpidezza dei pizzichi delle dita sull’arpa. Flan ricetta Flancese, in abbinamento quindi un Grandissimo dell’eleganza musicale d’oltralpe interpretato da Bert Lucarelli e Susan Jolles: Claude Debussy, Music for Oboe & Harp, annata 1988 ma, in origine, acini raccolti da vendemmie sonore sparse qua e là dal 1879 ai primi del Novecento.