Sono pronto a prendermi insulti d’ogni tipo. Sono conscio d’essere a rischio vilipendio vita natural durante. Ma ho ceduto alla tentazione di sabotare uno dei piatti cardine della mia terra d’origine, spinto da una ricetta in cui ho messo il piede per caso andando a zonzo per l’etere. Incoraggiato dalla spericolatezza altrui, mi sono sussurrato davanti allo specchio, mentre con le pinne mi aggiustavo le sopracciglia: perché non ci provo anch’io, intrepido ma non tiepido Uomo Senza Tonno quale sono?

Terminata la profonda e perigliosa cogitazione, affronto la prova armato di coraggio e beveraggio, che qui si suda come i porci d’acqua dolce.

Sviluppo quindi in codesta sede una rivisitazione della celeberrima Parmigiana di Melanzane, la cui paternità è al centro di un dibattito tra campani e siculi, ma sono certo che i secondi la spunteranno sui primi perché abbiamo ragione noi. Rassegnatevi.

Come rivisito la faccenda? Sostituisco le melanzane con le sarde. Primo secchiello di sterco e insulti. Grazie, m’asciugo.

Tolgo il parmigiano e metto la provola. Non affumicata che altrimenti ammazzo tutto. Seconda palata di guano e improperi. Ringrazio nuovamente e ricambio, a lei e famiglia.

E poi: pesce + formaggio = i trasgressori verranno puniti col massimo della pena.

Premessi i miei intenti blasfemi, puristi e chierichetti possono tranquillamente smammare e andare a farsi un’insalatina del cazzo.

Io parto con le mie acrobazie.

Pulisco le sarde, che ammetto sia una delle rotture di coglioni più rottura di coglioni tra le più scassacazzo delle rotture di coglioni. Eviscero, decapito, compio tutte quelle sollazzanti operazione squartanti grazie alle quali mi ritrovo con dei filetti di sarda aperti a portafogli come questo.

Mentre pulisco gli animaletti acquatici, mi porto avanti e preparo il sugo solo olio extrasgretolato di oliva, uno spicchio d’aglio e una scatola di polpa di pomodoro. 10 minuti e siamo belli. Non freschi che qui dentro ci stanno 30 gradi costanti.

Le sarde sono pronte per farsi una bella immersione in aceto di vino rosso, trucchetto appreso dalla mia cara nonna Grazia che mi guarda adesso da chissà dove. Un espediente che impiego anche per le beccafico, che vengono una bomba. Serve sia a insaporire la sarda, che a toglierle quell’eccessiva punta di sapore di mare che spesso nausea. 10 minuti di marinatura, non di più, altrimenti le carni si disfano e questa è la prima delle 3 cotture cui verranno sottoposte.

Sì, perché la seconda è una bella fritturina in padella con olio bollente. Oliva, non semi. Prima però le asciugo e le passo in farina di grano duro, in modo da semi-panarle.

Le friggo poco, un minuto per lato. Mi serve per sigillare il pesce una volta che andrà a contatto col sugo, nonché a migliorarne il sapore, rendendolo ovviamente meno salubre. Chicazzosenefrega.

Metto ad asciugare in fogli di carta assorbente e aggiungo un pizzico di sale.

Passo adesso alla stratificazione di questa bestemmia culinaria.

Afferro una delle mie mascolinissime cocotte e procedo: un cucchiaio di sugo,

uno strato di sarde,

una fetta di provola dolce.

Continuo fino ad esaurimento scorte.

Termino gli strati, una spolverata di pangrattato e via in forno a 180° per 15 minuti.

Oh, bestemmia per quanto possa essere, la parmigiana di sarde fa è un affascinante mutante culinario, dal sapore ricco e per niente eccessivo. Il pesce mantiene la sua identità grazie alla marinatura e la panatura, passaggi cruciali. Il formaggio lega ma non copre e il sugo fa la sua parte un po’ acida. Insomma, provare per credere. Se ne hai voglia.

Stay tuna

Il Disconsiglio: ci vorrebbe un abbinamento ateo e ignorante, e invece no. MI sparo un blues, uno di quelli vigorosi dal timbro sostenuto, come un vino dalla texture consistente. Howlin’Wolf, The Chess Box che non fa mai male.