Non so cosa stia accadendo nel magico mondo della musica Rocche e Non, ma mi pare che questo sia davvero l’anno dei dischi-caciotta. Quelli brutti che ti deludono e ti mandano in cura per depressione. Quelli che ti tolgono ogni fiducia sul futuro della specie umana. Quelli che ti scippano da sotto il culo le certezze su cui stavi comodamente appollaiato come un barbagianni canticchiante nel quore-della-notte. Se su Opeth, Slipknot e altra mazzamaglia metallina ormai non  nutro più alcuna speranza, certo è che Lanegan ha fatto una doppietta da intossicazione immediata post-ostrica. Anche i Mastodon l’han fatta un po’ fuori e se devo essere onesto, Thom Yorke mi stava mandando in coma. E poi tanta altra mediocrità, specchio della decadenza del capitalismo contemporaneo.

Ma che minchia dico? Capitalismo? Specchioriflessomettostocazzo?

Parlo di cucina che è meglio. O il meno peggio?

Aggiudicato.

Di cosa potrei parlare quest’oggi? Dato che il clima s’è irrigidito come una lastra di baccalà surgelato, è giunta l’ora di introdurre ingredienti che col freddo ci vanno a braccetto, ci limonano, figliano e divorziano anche. Parlo di una recente costruzione culinaria da me personalmente creata come di consueto su questo bastardo blog, ovvero un Risotto con cavolo nero, borragine e Scimudin.

Se non conosci 2 dei 4 ingredienti appena menzionati, cazzi tuoi. Usa Gùgol. Fino a qualche tempo fa, però, mi trovavo nelle tue medesime condizioni. E non usavo Gùgol.

Risotto con cime di rapa, salmone e zenzero

Ma penetro nel vivo della vicenda come uno stantuffo. Ti chiederai, cosa ci vuole per una persona che si reputi tale? Presto detto:

– 100 g di riso vialone nano
– 110 g di cavolo nero
– 100 g di borragine fresca
– 50 g di Scimudin
– una carota
– una cipolla
– un gambo di sedano
– un quarto di bicchiere di vino bianco fermo
– burro chiarificato
– sale
– pepe

Da dove comincio? Dalla brodaglia. Carota, cipolla e sedano vanno a farsi il bagnetto in 80 cl di acqua gorgogliante e straripante. Il brodo è pronto in mezz’ora, arco di tempo in cui tu, pigro che non sei altro, puoi fare ben altro e ritrovarti poi con un brodo che non ti fa salire l’acidità alle meningi. Quante volte lo devo ripetere? Vabbè, ma siccome sono una bisbetica testa di legno, devo lagnarmi e continuare la mia crociata contro il dado, che mi sta proprio sul culo.

Smetto i panni del nazista gastronomico e proseguo la preparazione del mio risissimo selezionando per bene le foglie di cavolo nero e borragine che devo usare. Le lavo e le taglio a listarelle. Metto da parte.

Facimmu stu risotto, va. In un tegame di rame sciolgo una noce di burro chiarificato, rosolo un po’ di cipolla tritata, aggiungo il riso che faccio tostare e poi sfumare con del vino bianco, e inizio a mestolare il brodo, che tradotto in italiano, vuol dire che comincio a versarlo sul riso a mestoli. Quant’è difficile farsi capire. Proseguo con voluttà e alla seconda mestolata, più o meno a metà cottura, ci sparo dentro il cavolo nero. A tre minuti dal termine, wa-tah, anche la borragine che ha un sapore delicatissimo e non è facilissima da reperire, tant’è che ho avuto un’immensa botta di culo divaricato nell’intercettarla al fido supermercato da gradasso bio che frequento.

Giunti a questo punto, spengo la fiamma perché il riso è pronto e passo alla consueta mantecatura. Eccoci qui, Scimudin. Non so dove cada l’accento, forse sull’ultima i. Ma non siamo sul forum dell’Accademia della Crusca, questo è un blog per gente che vuole mangiare, mica un luogo dove si litiga per un cazzo di accento, no? Scimudin non è un insulto, né un modello di scimitarra (sono libere associazioni le mie, non farci caso). É un formaggetto della Valtellina, ha pasta molle e una stagionatura breve. Il sapore è leggiadro come una piuma e l’ho infilato in questo piatto perché: a) non rompe il cazzo alla borragine che è delicatissima; b) mitiga un po’ l’insistenza del cavolo nero, che è un bullo e lo sanno tutti. E fa anche fare tante scoregge, se non lo sapessi. Quindi, taglio a cubetti lo Scimudin e lo aggiungo al risotto a fiamma spenta, incorporo per bene e lascio risposare un paio di minuti col coperchio che svolge la sua azione coprente. Aggiusto di sale, aggiusto di pepe, m’aggiusto la bavetta al collo e mi rifocillo.

Stay tuna

Il Disconsiglio: la mantecatura dona fluidità al risotto, per questo ci vuole un flusso che accompagni il bolo a rilasciare sensazioni di piacere leggere ed eteree (forse anche un po’ tristi, ma non ci pensare). Vada per un Labradford, Mi Media Naranja, annata 1997