É un periodo difficile per il mio Neurone Fritto, l’unico sopravvissuto alla costante moria delle mie cellule cerebrali: non riesce a far nulla. Io che l’ho investito del ruolo di mio fido consigliere, “Consigliami di quali dischi parlare ai miei Follouà prima di ogni ricetta”, gli ho detto quando abbiamo firmato il nostro patto di sangue di tonno. Da qualche giorno è muto, curvo sulla sedia a dondolo lì, in fondo alla mia calotta cranica, vestaglia lisa addosso, forse anche un po’ puzzolente, minchia lavati, Neurò.
Per giorni e giorni non ha risposto ai miei appelli. Gli ho anche detto “Senti, ascolta, in questi giorni io non ho idee di piatti nuovi e pettinati perché sto facendo trediciquattordicisette cose, ‘che posso cucinare per dare un senso alla mia esistenza senzatonnica?”. E lui silente, avvolto in un’uggiosa placidità.
Mi preoccupo. Non mangia. Non parla. Non fa un cazzo, apatico e imbronciato.
Un pomeriggio gli porto the e fette biscottate. “Attento che ti scotti”, lo avverto. Immoto nella sua marmorizzazione neuronica, non muove neanche un dito raggrinzito e smunto. “Senti, m’hai scassato la minchia, mi dici cosa c’hai? Qui c’è da fare il bisnés e tu ti ammutolisci senza alcuna spiegazione?” glielo urlo così almeno mi sente bene.
Lui alza il capo, mi guarda con occhi lucidi e mi fa: “Io voglio fare l’influencer”.
Lo scroscio del pattone a mano aperta che gli ho mollato s’è sentito fino a Juneau, capitale dell’Alaska. “Mannaggiatté e a chi non te lo dice pure” (“Mannaggiatté!” urla qualcuno dalla strada), “ma che c’hai nella testa, polvere di anacardi? Cosa? Ma quale cazzo di influencer che: a) ti sei visto che sei un cesso e neanche i filtri di IG ti salvano?; b) le sai fare le Instagram Stories?; c) sai non-scrivere in italiano?; d) le sai fare le marchette alle aziende fingendo di avere CASUALMENTE in casa questo o quel prodotto?; e) sei disinteressato alla vita fuorché ai like dei tuoi post? Rispondi a queste domande e vedrai se potrai diventare un influencer oppure no. Ma soprattutto, se ti autodefinisci tale, ti ripiglio a pattoni”
Dopo questa mitragliata spiattellata dritta in faccia, il Neurone Fritto, affranto e scoraggiato, mi guarda e mi dice: “UST, io mi sento un fallito, cosa potrei mai fare oltre a essere il tuo più fido consigliere nonché direttore creativo delle tue Gran Minchiate se non divento un influencer?”
“Semplice, compà”, gli rispondo, “farò di te uno come me: diventerai un Supposter”. Nessun aggettivo di qualunque dizionario terracqueo potrebbe descrivere in pieno la gioia e il sommo gaudio che s’è dipinto nello sguardo del Neurone Fritto. Un’illuminazione, un fulgore abbacinante lo ha trasformato in un essere luminescente capace di irradiare. “Dovremmo scrivere il manifesto del perfetto Supposter!” urla sbracciandosi, rinvigorito dalla rivelazione. “Calmo, scricciolo”, gli faccio, “il manifesto un’altra volta, qui c’è da metter giù una ricetta altrimenti i Follouà mi sparano. Ti affido un compito: cogita e torna da me con delle linee guida e il manifesto del Supposter si farà”.
Ringraziandomi per avergli dato uno scopo nella vita, il Neurone Fritto si rintana nelle sue stanze, dopo essersi cambiato quella merda di vestaglia putrida che indossava da settimane e lo sento lì che cammina in tondo per la stanza e parla ad alta voce e formula massime e aforismi. Nell’attesa che torni con un vademecum di sublime foggia, io vi narro come si fa una Parmigiana di sarde impanate con provolone affumicato.
Non è ancora stagione di melanzane e ne sento la mancanza. Vorrei perfino brevettare un profumo all’essenza di melanzana fritta da spruzzarmi addosso prima di uscire di casa per far stragi di donne melanzanofaghe a cui dedicherei notti di lussuria e parmigiana sbrodolante direttamente a letto.
Visto che, però, non posso ancora impazzare con le mulinciane, sebbene se ne trovino a zonzo tutto l’anno ma se poi posto un piatto con quest’ingrediente fuori stagione il popolo del webbe insorge, faccio dei surrogati. E quello con le sarde mi sembra un succedaneo ardito nonché abbastanza UST-ico.
Prima di partire col racconto, serve sempre la lista della spesa per 4 nostalgici delle melanzane in crisi d’astinenza:
– 800 g di sarde fresche
– una boccia e qualcosa in più di polpa di pomodoro
– uno scalogno
– olio extravergine d’oliva
– 400 g di provolone affumicato
– farina di grano duro
– pangrattato
– panko (briciole di pane in cassetta raffermo tipico delle fritture giapponesi ma se non lo trovate vabbene uguale)
– olio d’arachidi
– sale
– zucchero se siete terroni come me e vi piace il sugo dolciastro
– pepe, se vi va
In una casseruola sghiccio tre cucchiai d’olio extravergine, riscaldo e piazzo lo scalogno tritato. Appena si dora, lo scalogno, verso la polpa di pomodoro e faccio andare a fiamma bassa finché non avrò un sugo ben ristretto. Regolo di sale e zucchero.
Agguanto le sardine che guizzano per casa, danzano sul davanzale, aprono il rubinetto della vasca per lanciarsi in mezzo all’acqua ma non ho tempo da perdere nel rincorrerle quindi le chiudo tutte nello sgabuzzino, con cinica cattiveria le afferro una per una e faccio svolgo tutte quelle operazione che inquietano le genti: decapitazione, evisceramento, deliscamento, apertura a portafogli con coda asportata. Lo so, sono un brutto Tonno, non me ne vogliate, esigenze di copione.
Il sugo è pronto, devo panare le mie fottute sardine. Non uso uova bensì una pastella di farina di grano duro e acqua naturale a temperatura ambiente. Dosi a occhio, verso la farina e poi l’acqua a filo mescolando con una frusta per togliere i grumi, appena ottengo una crema densa come la pastella delle crepes, ammollo prima le sarde qui e poi nel mix di pangrattato e panko che ho già preparato su un piatto.
In un pentolino scaldo l’olio d’arachidi, con un termometro a sonda controllo che la temperatura stia intorno ai 170-180° (il punto di fumo dell’olio di arachidi è intorno i 190-200°) e catapulto le sarde impanate che vengono accolte dall’applauso dello shock termico. Appena si avvolgono in una truce corazza, le estraggo e le piazzo su un foglio di carta assorbente per fritti.
Il forno è già caldo a 190°, taglio il provolone a fette sottili e in una teglia creo i miei sontuosi strati: sugo, sarde, sugo, provolone, sarde, sugo, provolone fino a esaurimento scorte. Tengo comunque qualche sarda da parte perché appena questa cosa esce dal forno gliela piazzo a mo’ di cappello. E si gode, si gode forte, minchia se si gode, parola di Supposter.
Stay tuna.