Ho ancora viva la scena: estraggo dalla custodia il dischetto di Leviathan, lo ficco nella piastra del lettore, parte Blood And Thunder. Apriti cielo, apritevi culi di migliaia di band là fuori. Quel riff mi ha tagliato le orecchie, mi ha fatto sgranare gli occhi e dire Uau!, c’è ancora speranza per il Roccherrolle cazzutto. Era l’1 settembre del 2004, l’album era uscito il giorno prima e io l’avevo ordinato subito dopo ferragosto al mio spaccino musicale di fiducia di Caltanissetta.

Dire quanto sia affezionato ai Mastodon e a quel disco, “Leviathan”, potrebbe suonare melenso e anche noioso ma mi è impossibile negarlo. Un concept album ispirato a Moby Dick di Herman Melville talmente avvincente che mi convinse a leggere il romanzo. Il primo romanzo della mia vita (sono un lettore di narrativa parecchio tardivo) iniziato e finito (con non poche difficoltà). Sin dal precedente Remission (Relapse Records, 2002) ho seguito con attenzione la carriera dei quattro musicisti di Atlanta, Georgia, USA, il loro stile ha rinfrescato i padiglioni auricolari di parecchi ascoltatori di metallo, soprattutto in un periodo in cui la stagnazione creativa rasentava l’imbarazzante, e ha generato un trend, uno stile imitato e ripreso da molte band a venire che hanno unito la ferocia del post-hardcore con le armonizzazioni dell’heavy metal classico.

Mastodon Emperor of sand

Era però inevitabile che i Mastodon iniziassero a cedere qualcosa in potenza a favore di una necessaria verve melodica. Il contratto con Warner, battezzato con Blood Mountain (2006), spingeva il gruppo verso quella direzione e fino a Crack The Skye (2009) le cose sono andate a gonfie vele.

I nodi sono venuti al pettine con The Hunter (2011) prima e Once More ‘Round The Sun (2014) poi, dischi mollicci in cui traspariva l’assenza di un cantante di ruolo che desse la giusta spinta nelle strutture vocali.

Dopo tre anni e un’attività live sfiancante che va avanti da 17 anni ormai, lo spartito di Emperor Of Sand non si distacca dalle ultime prove. Le ritmiche sono quadrate, Brant Hinds (chitarra), Troy Sanders (basso) e Brann Dailor (batteria) continuano a dividersi le parti vocali e a ricercare un’immediatezza che in più punti riesce, in altri no.

Mastodon Emperor of sand

Eccellente il filotto iniziale (Sultan’s Curse, Show Yourself, Precious Stones, Steambreather) pieno di bei colpi d’impatto, nella parte centrale il disco si arena in momenti in cui il gruppo cerca sempre il guizzo radiofonico e ripropone strutture note con le consuete alternanze di tempi e accenti. Non ci sono però brutte canzoni, neanche una.

I riff scavezzacollo appaiono qua e là e portano l’evidente marchio di fabbrica dei Mastodon (Andromeda è abbastanza caterpillar) e non latitano la carica e la potenza, in questo disco ben più presenti che nelle recenti prove. Si rinnova in Scorpion Breath la tradizionale ospitata di Scott Kelly dei Neurosis, presente in ogni album della band da “Leviathan” a oggi. Se poi a chiudere è Jagura God, brano ispirato come ai tempi di “Crack The Skye”, visionario e progressive in cui appaiono alcune delle migliori parti vocali del disco, mi sento di dire che, sebbene “Leviathan” sia un’opera irripetibile – anche perché venuta fuori in un altro periodo storico – i Mastodon non sono ancora morti e di questo me ne compiaccio.

Me ne compiaccio talmente tanto che m’è venuta fame, quindi Follouà, se non avete nulla in contrario, mi metterei ai fornelli per esporvi la ricetta di questo post, anche perché vi siete già sorbiti abbastanza delle mie menate musicofile e non siete qui per questo.

Ho voluto infilare nello stesso piatto ingredienti provenienti da diverse regioni italiche, faccio la cucina fusion a modo mio. Per esempio: la pasta è la fregola ed è sarda; la cicerchia è un legume che si trova in centro Italia tra Marche, Umbria, Lazio e fino a sud in Puglia e Molise; il pomodorino è siculo; la colatura d’alici è di Cetara in provincia di Salerno; il caciocavallo lo fanno ad Agnone, in Molise. Questi gli ingredienti che ho usato per Fregola sarda, cicerchia e pomodorino, colatura d’alici di Cetara e caciocavallo d’Agnone PAT.

Fregola sarda, cicerchia e pomodorino, colatura d'alici di Cetara e caciocavallo d'Agnone PAT

Prima di attaccare con lo sfornellamento, lista di cose che servono – che però vi ho già detto – con quantità adeguate a 4 dentiferi affamati:

– 400 g di fregola sarda, io ho usato quella già tostata
– 200 g di cicerchie
– 200 g di pomodorino Pachino
– 3 cucchiai di colatura di Alici di Cetara
– caciocavallo d’Agnone PAT da grattugiare
– uno spicchio di aglio
– olio extravergine d’oliva
– timo fresco
– niente sale, ci pensa la colatura a salare – o se proprio devi, giusto un po’ nell’acqua della pasta, sale grosso

Truà, de, àn: la cicerchia che ho in dotazione è secca, quindi la faccio rinvenire 12 ore prima tenendola in ammollo in acqua fredda. Quindi, il giorno dopo succede che afferro i pomodorini, li lavo e li taglio in due e li rosolo in padella con uno spicchio d’aglio e le cicerchie, ormai belle morbide come le chiappe di una settantenne.

Sbollento la fregola in acqua ovviamente calda con una puntina di sale grosso, è un tipo di pasta un po’ ostico, va tenuta sotto osservazione e solitamente i tempi di cottura indicati sui pacchetti non coincidono, ci vuole sempre qualche minuto in più.

Scolo la fregola e la slavango in padella così l’amido rilasciato crea una piccola cremina che legherà il piatto. Spengo la fiamma e lancio qualche fogliolina di timo.

Cazzo, ma è già finita la ricetta? Così rapida? Eh, manca solo che versi un cucchiaio di colatura d’alici sul piatto, mescoli e che grattugi il caciocavallo ncoppa. E c’è Ciao.

 

Stay tuna

[photo credit: quella del piatto è mia, quella della band l’ho presa dal sito rocklab.it]